Export salumi, una piccola miniera in tempo di crisi

Nel 2011 il settore ha toccato il record del miliardo di euro di esportazioni. Numeri che, senza ostacoli e barriere commerciali, potrebbero crescere ulteriormente e sensibilmente.

Export salumi, una piccola miniera in tempo di crisi

I salumi di derivazioni suina rappresentano una delle eccellenze del nostro Paese. Un settore in controtendenza che riesce a regalare soddisfazioni alla nostra economia e soprattutto agli operatori del settore, capaci di inanellare da due anni a questa parte performance sorprendenti. L'ultimo dato è quello distribuito dall'Assica (associazione industriale carni e salumi aderente a Confindustria), e dalle altre associazioni Ivsi e Isit: le esportazioni di salumi italiani nel 2011 hanno toccato il record storico, sfondando quota 1 miliardo di euro (1 miliardo e 40 milioni), con un incremento del 7 per cento in valore e dell'11 per cento in quantità (138mila tonnellate). Il saldo commerciale del settore ha così registrato una crescita del 7,6 per cento, arrivando a 875 milioni di euro.
Il dato, diffuso nel corso del convegno «Carni e salumi: un potenziale di crescita per il paese», rappresenta un valore in sé ma ha anche il «sapore» dolce di una buona notizia in un contesto economico segnato quasi esclusivamente da storie colorate in grigio, se non in nero. Il record, infatti, è stato colto in un contesto marcoeconomico che andava progressivamente deteriorandosi a causa della crisi dei debiti sovrani in Europa e del rallentamento del commercio internazionale. Il comparto ha invece mostrato capacità di reazione, riuscendo a raccogliere importanti confermw sul mercato comunitario e a intercettare bisogni e disponibilità di Paesi lontani, la Cina su tutti. Non mancano, però, timori e segnali di allarme. Con tanto di esplicite richieste spedite alle istituzioni, e al governo in primis, affinché vengano create le condizioni per far crescere ancora un settore che rivendica un potenziale di crescita e di occupazione molto ampio. «Siamo un settore che fa investimenti, rimane sul territorio, crea lavoro» spiega Lisa Ferrarini, presidente di Assica. «Alle istituzioni non chiediamo fondi ma un aiuto per far crescere il Paese e aiutarci a liberalizzare gli scambi. Le perdite commerciali dovute alle barriere veterinarie e tariffarie esistenti si possono prudenzialmente stimare in 250 milioni di euro. E' urgente rimuovere quei vincoli commerciali che non ci permettono di esprimere tutto il nostro potenziale». Attualmente la maggioranza dei paesi extra Ue, che rappresentano il 21 per cento del totale dei destinatari delle esportazioni italiane, adotta divieti all'importazione di carni suine che colpiscono in particolare prodotti a media/breve stagionatura come i salami e le carni non lavorate. A questo si aggiungono le limitazioni in importantissimi mercati come la Cina, l'Australia o la Corea del Sud. «Abbattere queste barriere» conclude la Ferrarini «è fondamentale perché il tempo non è una variabile indipendente. Mentre le nostre aziende attendono i necessari provvedimenti, infatti, i concorrenti europei rafforzano i loro legami con i partner extra Ue e guadagnano posizioni difficilmente recuperabili in futuro». Un esempio è quello degli Stati Uniti dove non è consentita l'esportazione dei prodotti a breve stagionatura come i salami, le coppe e le pancette ma solo l'invio dei prodotti cotti come la mortadella e il prosciutto cotto e dei prosciutti crudi stagionati oltre 400 giorni, a partire dai prosciutti Dop come il Parma e il San Daniele.

Si stima che questi divieti comportano un danno per vendite mancate per 2000 tonnellate pari a 18 milioni di euro solo negli Stati Uniti. Una limitazione che i produttori chiedono al governo di fare tutto il possibile per rimuovere.

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