La famiglia si salva se arriva il manager

Verità e falsi miti sul passaggio generazionale delle imprese familiari

Rodolfo Parietti«E adesso?». C'è sempre un momento, nella vita di un imprenditore di successo, in cui questa domanda inizia a farsi incalzante come una cambiale in scadenza. Interrogarsi sul destino della propria creatura, la fonte delle fortune personali, è inevitabile: la si vuole perpetuare, rendere immortale. Eterna. Le scelte da compiere non sono facili. Un'ideale guida sulle decisioni da prendere è «Manager di famiglia. Come i manager vengono scelti e hanno successo nel capitalismo familiare» (edizioni del Gruppo 24 Ore), scritto a quattro mani da Bernardo Bertoldi (docente a Torino di Family Business Strategy) e Fabio Corsico (manager del gruppo Caltagirone e consigliere in diverse società).Pregio del libro è l'uso di un linguaggio piano, privo di quei birignao stilistici che spesso appesantiscono la scrittura di chi si occupa di management o di temi economici, unito a un'ampia sezione che demolisce alcuni miti che, da sempre, vengono accostati alle aziende a conduzione familiare. Tra questi, l'idea fasulla che si tratti di micro o mini-strutture (falso: oltre il 60% delle nostre aziende quotate è controllata da una famiglia), dove la meritocrazia non è un asset fondamentale (curioso: è l'imprenditore a pagare di tasca propria un eventuale deficit meritocratico) e dove, alla fine, si guadagna meno rispetto alle altre imprese (non vero: performano meglio in fasi di crisi). Altrettanto fasullo si rivela anche il vecchio adagio «dalla tuta alla tuta in tre generazioni»: in realtà, hanno una vita media di 40-50 anni, come si desume dai dati delle imprese a capitale diffuso di Wall Street.E proprio il passaggio del testimone generazionale è uno dei temi centrali del libro. Nella fase di creazione il fondatore è stato imprenditore, azionista e manager «in modo eccezionale unico e irripetibile»: inutile illudersi di poter replicare il modello. «Il padre deve dire al figlio: qui in azienda non metterai mai piede, vai pure dove vuoi. Se poi, sette anni dopo, il figlio è stato un fulmine e ha fatto benissimo, sarà il padre che lo implorerà di tornare», è il consiglio è dell'ex ad di Enel ed Eni Paolo Scaroni, un passato da manager per la famiglia Rocca. Scaroni, insieme con Lorenzo Pellicioli (Drago-Boroli) e Aldo Bisio (ora a Vodafone, dopo aver lavorato per i Merloni), dà voce alla propria esperienza con il capitalismo familiare. Anche perché, in molti casi, diventa fondamentale appoggiarsi a un manager esterno per poter garantire la continuità aziendale. La ricetta per l'inevitabile disastro? Eccola: scegliere un dirigente con grandissime competenze, ma incapace di integrarsi con quell'essenza imprenditoriale che è una miscela di qualità rare, processi decisionali e asset aziendali. Il manager migliore sulla piazza non è insomma il manager migliore per un certo tipo di azienda. È un errore, peraltro, in cui cadono molti imprenditori: prova ne sono i frequenti licenziamenti nella fase iniziale che, una volta superata, apre la strada a rapporti longevi. Ma, alla fine, ciò che conta è dar continuità all'azienda attraverso una mutazione genetica del Dna originario, cioè della «winning formula».

Se la Disney è sopravvissuta al suo geniale fondatore, Walt, è perché è passata dai cartoni animati disegnati a mano alle meraviglie della computer grafica; se la Ford è diventata la Ford, è grazie all'applicazione manageriale di Henry Ford II delle intuizioni del nonno, il capostipite. Non c'è nulla di immutabile. Per l'eterno, ci si può lavorare.

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