Per fare pulizia in Carige serve la mano dello Stato

Contatti con la Sga, controllata dal Tesoro, che potrebbe rilevare sofferenze e crediti incagliati

Per fare pulizia in Carige serve la mano dello Stato

«Noi diamo sostegno alle banche, ma non ci mettiamo un euro degli italiani», è il mantra di Luigi Di Maio e di tutti i pentastellati. Ma se i grandi «fustigatori» delle banche fossero costretti in qualche modo a salvarle con qualche risorsa dei contribuenti?

La domanda torna di estrema attualità dopo il commissariamento di Carige che vede lo stesso Di Maio sugli spalti a tifare la squadra della Bce incrociando le dita affinchè il piano di Francoforte funzioni. Solo così il governo eviterà di mettere soldi nella banca, di rimanere invischiato nel cosiddetto bail out (il salvataggio di una banca con risorse esterne, tipicamente pubbliche) o, nel caso più estremo, di gestire un bail in a carico dei piccoli risparmiatori alla vigilia delle elezioni europee.

L'istituto genovese per ora è stato patrimonializzata grazie al bond da 320 milioni sottoscritto dal Fondo Interbacario (ovvero dalle altre banche sane, quindi con soldi privati), i commissari sono al lavoro sul piano industriale «in un'ottica di possibili partnership e alleanze». La soluzione auspicabile sarebbe una grande operazione di mercato che coinvolga altre banche (tra cui Mps, da cui lo Stato deve uscire entro il 2021) e riduca il numero degli istituti in Italia come invocato a più riprese dalla Vigilanza Ue.

Ma per rendere appetibile Carige sulla piazza, vanno eliminate tutte le scorie rimaste dalla disastrosa gestione Berneschi e quelle accumulate anche di recente. Una pulizia di bilancio che potrebbe richiedere indirettamente una mano dallo Stato. Tra le opzioni, infatti ci sarebbe anche quella di coinvolgere la Sga, la bad bank controllata dal Tesoro che aveva già rilevato i deteriorati delle banche venete e che potrebbe acquisire buona parte dei 2,8 miliardi tra sofferenze e crediti incagliati (i cosiddetti Utp) ripulendo l'attivo di Carige. I contatti con i commissari per ora sarebbero soltanto preliminari e non sarebbe stato aperto un vero e proprio negoziato. Tra la banca e Sga c'è già un canale aperto, essendo quest'ultima già intervenuta in soccorso per la copertura dell'aumento di capitale da 540 milioni di fine 2017 con una quota del 5,4%, poi ridotta in più fasi con cessione di pacchetti azionari e ad oggi poco sopra l'1,2%. C'è poi chi sottolinea che la società guidata da Marina Natale fa comunque operazioni di mercato e che un'eventuale acquisizione dei crediti di Carige dovrà assicurare «ritorni adeguati e sostenibili nel tempo». Al momento, sembra invece, da escludere un intervento della Cassa Depositi e Prestiti considerando anche i radar sempre bene accesi della Commissione Ue su eventuali aiuti di Stato.

Il cantiere resta aperto e i lavori devono procedere a passo spedito: l'obiettivo è di avere in tasca i sigilli del salvataggio entro febbraio.

Giovedì scorso Malacalza Investimenti, primo socio di Carige con il 27,5%, ha comunicato la sua disponibilità a votare l'aumento di capitale condizionato alla presentazione del piano industriale. Piano che potrebbe arrivare sul tavolo dei soci con una nuova assemblea da convocare dopo l'approvazione dei conti 2018 (attesa a metà febbraio, appunto).

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