Economia

Il faro dei fondi esteri sul piano delle Generali

Donnet punta sui dividendi. Poi la guerra per la guida del campione nazionale entrerà nel vivo

Il faro dei fondi esteri sul piano delle Generali

Stamattina si alza sipario sul piano industriale di Generali, approvato ieri dopo un cda fiume (dalle 12 alle 21) con il voto contrario del vicepresidente Francesco Gaetano Caltagirone, assente Romolo Bardin (manager di Leonardo Del Vecchio). Il mercato freme, visto che per l'ad Philippe Donnet, il cui rinnovo è al centro di un braccio di ferro tra grandi azionisti, si tratta dell'ultimo grande appuntamento per convincere gli investitori a votare favore di un suo terzo andato nell'assemblea del 29 aprile.

Per gli analisti la strategia del prossimo triennio sarà concentrata su un ulteriore sviluppo del risparmio gestito, sul rafforzamento del ramo Danni, oltreché sui due dei mantra degli anni Venti: sostenibilità e digitalizzazione. Non mancheranno domande sull'M&A, tanto più che, nel piano industriale in scadenza a fine anno, è rimasto un miliardo circa di quanto messo a budget per lo shopping e sulla remunerazione degli azionisti. Per Equita, che stima una crescita media dell'utile netto del 4% all'anno fino al 2024 (+5% considerando Cattolica), il dividendo cumulato 2022-2024 si attesterà a 5,2 miliardi (rispetto ai 4,5 miliardi del piano precedente), ma l'asticella potrebbe spingersi anche oltre i sei miliardi. Ciononostante, ieri il titolo ha chiuso la seduta a 18,45 euro, in calo del 0,1%.

Più che ai singoli contenuti del piano, l'attenzione degli investitori è tuttavia concentrata su come strategia, business e numeri si inseriranno nella battaglia in corso per il controllo delle Generali e che vede schierati da un lato Mediobanca (al 17,24% dei diritti di voto) con De Agostini (che, pur essendo in uscita, ha assicurato il suo voto in assemblea) e dall'altro Del Vecchio e Caltagirone, che insieme a Fondazione Crt, hanno costituito un patto di sindacato ormai al 15,58% del capitale del Leone Alato e che punta al 18%. I pattisti contestano all'attuale management la gestione fin troppo prudente nell'M&A, la strategia nel gestito e, secondo indiscrezioni, potrebbero inoltre essere interessati a una valorizzazione delle attività immobiliari del gruppo. E da oggi la palla passa a loro, con l'obiettivo di crescere ancora nel capitale, ma anche di tessere rapporti con possibili alleati, oltre che curare le questioni giuridiche sollevate in Consob. E a questo punto, con lo scontro che entra nel vivo, la vicenda potrebbe diventare, anche politica. Palazzo Chigi finora ha taciuto sul tema, mentre dall'estero si inizia a guardare a Generali come di un importante banco di prova nell'ottica del sistema Paese. D'altro canto Trieste custodisce 60 miliardi di debito pubblico italiano e gestisce oltre 680 miliardi di attivi.

E non a caso ieri l'agenzia Bloomberg ha ripercorso le fasi della guerra in atto come rivolgendosi ai fondi esteri (al 33% del capitale del Leone) che ascolteranno oggi la prima linea manageriale di Generali spiegare il piano e che, ad aprile, rappresenteranno l'ago della bilancia tra i due schieramenti.

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