Fca e la scelta presa anni fa di spostare in Olanda e nel Regno Unito le sedi, rispettivamente legale e fiscale, torna a infiammare il dibattito politico. A dar fuoco alla miccia, la richiesta di accedere a una linea di credito da 6,3 miliardi con garanzia pubblica di Sace. È da precisare, in proposito, che è il diritto comunitario a permettere ad aziende e persone all'interno dell'Ue di trasferirsi in qualunque altro Stato. Fca, in serata, in una nota sottolinea che la linea di credito va considerata esclusivamente come «sostegno della filiera dell'automotive in Italia, composta da circa diecimila piccole e medie imprese». Ma Nicola Fratoianni, portavoce di Sinistra Italiana, insiste: «Riportino le due sedi in Italia, così un po' di tasse in più qui arrivano». Interviene anche l'ex ministro Carlo Calenda, ora leader di Azione: «Ovviamente la sede legale e fiscale torna a Torino, perché altrimenti andremo sul surreale». Dura la reazione di Cgia, che definisce «inaccettabile» la richiesta del gruppo presieduto da John Elkann. «Sarebbe opportuno - dice il segretario Renato Mason - che anche l'Italia, come ha fatto la Francia, decidesse di escludere dai contributi statali le società con sedi dove offrono fiscalità di vantaggio». Ma c'è anche chi sta dalla parte di Fca, come il viceministro all'Economia, Antonio Misiani: «Le attività italiane pagano le tasse in Italia e Fca è una realtà aziendale che ha 86mila dipendenti nel nostro Paese». «Ma perché dobbiamo farci del male? - si chiede l'economista Luca Paolazzi -; è indubbio che Fca sia l'unica realtà automobilistica grande in Italia.
La capogruppo è all'estero, ma in Italia c'è una realtà produttiva importante». Per un altro economista, Marcello Missori, «l'importante è che Fca non riduca la sua attività». Resta comunque da vedere come si metteranno le cose con il Regno Unito fuori dall'Ue.
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