La Fed non fa più paura alle Borse

La Fed non fa più paura alle Borse

Finito il tormentone estivo sulle minute della Federal Reserve, le Borse risalgono sulla giostra del rialzo. Naturalmente, non si sa fino a quando la ruota girerà. Da qui alla metà di settembre, quando il board della banca centrale Usa tornerà a riunirsi, è probabile che il tapering torni sul piatto dei mercati con il solito ritornello: quando comincerà la ritirata dalle misure di stimolo economico?
A questa domanda le minutes della Fed, verso cui s'erano create troppe aspettative, non hanno fornito alcuna risposta. Dai verbali è emersa a tutto tondo la spaccatura tra due scuole di pensiero, cioè tra i favorevoli a una rimozione immediata degli aiuti e tra chi teme contraccolpi a un'economia che deve ancora consolidarsi. Non è una novità, ma questa frattura viene letta dai mercati come un'impasse. Tale da rendere meno probabile l'avvio della exit strategy già il mese prossimo. Altri, inoltre, pensano che Ben Bernanke, giunto ormai alla fase terminale del mandato (scadrà a metà gennaio 2014), potrebbe lasciare nelle mani del suo successore la patata bollente. Insomma: una situazione ancora fluida che, lasciando spazio a ogni scenario, favorisce il riposizionamento dei flussi d'investimento verso l'Europa, soprattutto ora che la frenata economica rende meno appealing i Paesi emergenti. È quanto accaduto ieri. Rialzi ovunque nel Vecchio continente, con Milano in particolare evidenza (+2,5%) dopo tre sedute di passione. Un rialzo sostenuto dal +3,5% dei titoli bancari e ottenuto nonostante i venti di crisi che soffiano sul governo Letta. Difficile però dire se il calo dello spread sotto i 240 punti (una buona notizia per il Tesoro che martedì prossimo collocherà fino a tre miliardi di euro di Ctz) sia da attribuire all'insensibilità espressa di recente dai mercati nei confronti della politica italiana, oppure, più semplicemente, se sia la diretta conseguenza della flessione del Bund tedesco.
Questo fenomeno, che riguarda in maggior misura i treasury Usa, è legato alla riduzione della domanda sugli asset considerati più sicuri. I motivi? Nello specifico, il lieve aumento in agosto della produzione manifatturiera cinese dopo tre mesi di forte rallentamento, e la salita oltre le attese dell'indice Pmi dell'Eurozona a 51,7 punti (il picco più alto da oltre due anni) e dunque ben al di sopra di quota 50, la linea di demarcazione tra espansione e contrazione economica. È ancora la Germania a tenere il ritmo più alto, con l'indice al massimo dal gennaio scorso, mentre la Francia ha fatto registrare un calo più rapido della produzione rispetto a luglio; nel resto dell'area, la produzione è cresciuta per la prima volta da maggio del 2011. A conforto dei segnali di miglioramento anche i dati Ocse, secondo cui nel secondo trimestre, dopo sei trimestri consecutivi di flessione, il Pil di Eurolandia è tornato a crescere, facendo segnare un +0,3% (-0,3% nel primo trimestre del 2013). Rallenta invece il calo del Pil in Italia, dove si è registrata una discesa dello 0,2%, dopo il -0,6% nel primo trimestre.
Certo è ancora poco per parlare di ripresa, soprattutto in alcuni Paesi come il nostro, anche se i primi segnali di miglioramento congiunturale - a detta di alcuni esperti - avrebbero già convinto gli investitori extra-Ue a rompere gli indugi.

C'è addirittura chi non esclude che stia per partire una grande rotazione sulle Borse europee capace di far affluire 100 miliardi di dollari, così da colmare il gap che si è creato dal 2007 nei confronti di Usa, Giappone e mercati emergenti.

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