Economia

La Fed va al taglio aiuti, senza fretta

Powell: "Inizio del tapering possibile entro fine anno". Le Borse chiudono positive

La Fed va al taglio aiuti, senza fretta

In quell'esercizio di precaria stabilità che è diventata la politica monetaria ai tempi del Coronavirus e delle sue molteplici varianti, Jerome Powell è un perfetto equilibrista. È l'uomo sul trapezio che non rischia mai di precipitare. Sarà che Jay è a fine mandato, e si gioca quindi la riconferma a Eccles Building, ma ieri al simposio di Jackson Hole il presidente della Fed è riuscito a dare il classico colpo al cerchio e al barile. Una roba che piace molto a Wall Street. Mentre, nei giorni scorsi, i falchi della banca centrale avevano squadernato urbi et orbi tempi e modi del ritiro degli aiuti da 120 miliardi di dollari al mese (un piano di acquisto titoli che in poco più di un anno ha raddoppiato il bilancio, a 8.400 miliardi), il successore di Janet Yellen si è limitato a dire che la Fed è pronta ad avviare il tapering «prima della fine dell'anno», visto che l'economia ha raggiunto un punto in cui non ha più bisogno di tanto sostegno, ma senza indicare una scaletta temporale.

Si sa: Powell è guardingo per natura. Trump, che lo aveva inquadrato come un don Abbondio del terzo millennio, uno incapace di darsi coraggio e quindi pronto a dar corda alle sue guapperie da bravo manzoniano, alla fine ne piegò le resistenze su aiuti e tassi. Ora The Donald non c'è più, e il capo della Fed può far della prudenza una virtù tanto apprezzata dai mercati. L'assenza di un timing è correlata all'intenzione di evitare una riduzione degli aiuti troppo violenta che potrebbe risultare - dice -«particolarmente dannosa» in un momento in cui la variante Delta è in circolazione e ancora non si può calcolarne l'impatto sulla ripresa economica. Dunque: chiusura dei rubinetti della liquidità calibrata in base all'andamento della pandemia e al grado di resistenza della recovery. Senza impegni ex ante. È verosimile che l'istituto di Washington prenda tempo alla prossima riunione, in calendario il 21 e 22 settembre, per poi annunciare in novembre, o il mese dopo, l'avvio della rimozione graduale degli stimoli. In base alle informazioni in possesso, Powell disegna uno scenario in cui il mercato del lavoro è «migliorato più del previsto», ma la disoccupazione, benché scesa al 5,4%, è ancora «troppo alta». Rispetto al «sopire, troncare» di qualche mese fa, la Fed mostra poi di essere un po' più preoccupata per l'inflazione. Quella «core», depurata dagli elementi volatili come i prezzi energetici e dei generi alimentari, è cresciuta a luglio del 3,6% rispetto a un anno prima; il dato generale è cresciuto del 4,2%, l'aumento maggiore dal 1991. Powell giudica «alta» l'inflazione, anche se le condizioni che hanno portato all'aumento «si stanno già dissolvendo. Non ci sono ragioni per credere» che le forze globali deflazionistiche «improvvisamente si siano ridotte o abbiano invertito il passo».

Questo piano di volo sembra indicare che sarà ulteriormente posposto il momento, inizialmente previsto entro il 2023, in cui saranno alzati i tassi. D'altra parte, il mandato della Fed prevede una condizione di piena occupazione prima di dare un giro di vite al costo del denaro. «Abbiamo molto terreno da percorrere per raggiungere questo obiettivo», ha ammesso Powell rimarcando che il tapering «non è da intendere come un diretto segnale sulla tempistica di un aumento dei tassi di interesse».

Parole da colomba apprezzate dai mercati. Soprattutto da Wall Street, dove Nasdaq (+1,12% a un'ora dalla chiusura) e &P 500 (+0,8% hanno messo a segno nuovi record, mentre in Europa Milano ha guadagnato lo 0,56%.

I falchi - e i gufi - possono attendere.

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