La Fondazione vende il 12% del Monte Paschi

Il Big bang del Monte Paschi è iniziato. Ieri sera la Fondazione Mps ha venduto l'11,98% (contro una ipotesi di partenza dell'8,5%) dell'istituto guidato da Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, di cui conserva ora il 15 per cento. L'operazione, dal punto di vista tecnico un collocamento privato avvenuta dopo la chiusura di Piazza Affari, ha un controvalore di 335 milioni: 23,9centesimi il prezzo finale spuntato da Palazzo Sansedoni, rispetto ai 23,37 inizialmente proposti e ai 24,6 cent segnati da Mps in Borsa (+2,7%).
L'incasso, inclusi i proventi dell'1,58% del Monte venduto a inizio mese, dovrebbe permettere alla presidente Antonella Mansi di ripagare il debito dell'Ente e mantenere, dopo il vicino aumento di capitale da 3 miliardi, un presidio nella banca prossimo al 7-8 per cento.
Il passo indietro della Fondazione era peraltro atteso dagli investitori istituzionali, che da qualche settimana stavano prendendo posizione sul gruppo. In dieci sedute sono infatti passate di mano azioni pari ai due terzi del capitale di Mps: 69,3%, il 6,2% soltanto ieri, con un evidente effetto «palloncino» creato dal trading mordi e fuggi dei fondi speculativi, quasi si trattasse di un grande slot machine. Le premesse perché la Fondazione alla fine rompesse gli indugi c'erano, sia perché il Monte non può attendere molto per ricapitalizzare (la data ultima ipotizzata per il kick off era il 26 maggio) sia perché il titolo Mps passa ormai di mano a valori allineati a quello di carico della Fondazione, che quindi può ora «alleggerire» la sua quota con minor danno.
Mps è una «cenerentola che si prepara al ballo», hanno sintetizzato con efficacia gli analisti di Citi, con un evidente riferimento alla ricapitalizzazione necessaria per rimborsare i primi 3 miliardi di Monti bond. Tra i possibili soci forti della nuova Rocca Salimbeni, si è registrato l'interesse dei fondi sovrani di Abu Dhabi e del Qatar, ma si è guardato anche ai capitali russi di Pamplona, oltre al fondo americano Jc Flowers, che potrebbe rilevare il 20% come capo di una cordata in cui figurebbe la stessa Blackstone.
In parallelo potrebbero poi ancora intervenire un manipolo di Fondazioni «amiche», guidato della Cariplo di Giuseppe Guzzetti (che presiede anche l'Acri) così da fornire una garanzia «politica» alla futura italianità del Monte: oltre a Cariverona, ci sarebbero CariFirenze e CariLucca. Senza le Fondazioni la presenza di capitalinazionali in Mps sarebbe peraltro perlomeno sfilacciata: a inizio marzo la famiglia Menarini è scesa dal 4% all'1% (incamerando una minusvalenza da 70 milioni rispetto al prezzo di carico di 37 centesimi) e Unicoop Firenze (1,67%) ha già mandato più di un segnale di voler allentare i legami dopo l'uscita di Turiddo Campaini.


Di certo se, dopo aver perso la finestra di gennaio su pressione dello stesso ente di Palazzo Sansedoni, la capitalizzazione di Mps slitasse ancora aumenterebbe il rischio di non rispettare i tempi tecnici per avere in cassa il denaro necessario a saldare il «cedolone» da 330 milioni dei Monti Bond in scadenza a luglio. E quindi si scivolerebbe sul piano inclinato in fondo al quale c'è l'inizio della nazionalizzazione.

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