«Cose folli». L'ad di Unicredit, Federico Ghizzoni, non ha paura di scalate ostili da parte di gruppi esteri. Una fusione con Intesa a scopo difensivo? «Andiamo avanti per la nostra strada». «Non temiamo scalate». Anche il presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, Andrea Beltratti, ha mostrato analoga sicurezza pur senza ricorrere alle citazioni shakespeariane del Ceo Enrico Tomaso Cucchiani.
Insomma, tra i due big del credito non ci sono nozze in vista. Ieri in Borsa i due titoli hanno accusato una flessione (-2,1% Ca' de Sass e -0,85% Piazza Cordusio) trascinati al ribasso dalle solite vendite che l'eurocrisi concentra sul settore finanziario. Eppure il mercato continua a interrogarsi sulla possibilità che, prima o poi, possa ripetersi - seppur per motivi diversi - la stessa storia che tra 2006 e 2007 portò alla formazione dei due campioni nazionali.
Ogni giorno si pubblicano report che consigliano di posizionarsi sui due titoli. Per Deutsche Bank sia Intesa che Unicredit sono buy, cioè da comprare. Equita, pur avendo bollato inizialmente l'ipotesi come «fantafinanza» ha un giudizio buy sull'istituto guidato da Cucchiani e hold per la banca di Ghizzoni. E, nonostante siano state sottolineate le difficoltà dal punto di vista antitrust, ha ipotizzato «concambi vicini ai prezzi di mercato» precisando che «il vero tema caldo è il controllo di Mediobanca e Generali».
La messa in sicurezza degli assetti della finanza italiana (magari avvicinando due universi paralleli come quelli che fanno capo a Piazzetta Cuccia e al dominus di Intesa, Giovanni Bazoli) è ragione sufficiente per dare agli investment banker modo di aprire le danze? Certo, se si guarda la realtà di Borsa: ormai Intesa e Unicredit capitalizzano entrambe poco più di 20 miliardi e hanno un azionariato molto frastagliato. All'interno di Ca' de Sass la presa delle Fondazioni (Compagnia di San Paolo e Cariplo in primis) è più forte con un bel 25%, mentre a Piazza Cordusio gli enti - dopo tre aumenti di capitale - si sono fermati a poco più del 12% nonostante gli sforzi di Crt e Cariverona, a fronte di una maggioranza straniera (Aabar, i russi di Pamplona, la Libia nonché Allianz) vicina al 25 per cento.
Unicredit è il primo socio di Mediobanca che a sua volta controlla Generali, un milieu che porta dritto a Telecom e al Corriere della Sera (non a caso il quotidiano che ha lanciato l'indiscrezione). La banca tratta circa un terzo del proprio valore di libro, più o meno come Intesa. «Qualsiasi mercato che ha valutazioni basse rispetto ai fondamentali è esposto al rischio di acquirenti», ha cercato di minimizzare Beltratti. Ma è chiaro che i grandi banchieri italiani sanno che, ove mai lo spread Btp-Bund si riavvicinasse a quota 200, il rischio-Italia per gli investitori stranieri sarebbe più accettabile.
Eppure il prezzo di questa integrazione sarebbe rappresentato da una rinuncia a un gran numero di sportelli. Unicredit dovrebbe rinunciare alle sue 4.400 filiali italiane (Intesa ne ha 5.500) e quindi accantonare il piano di riorganizzazione del business che è il vero focus dell'attività più recente di Ghizzoni.