Ieri, a poco meno di 24 ore dalla scadenza stabilita per stasera da Atene per l’adesione volontaria allo swap del debito, pari a 206 miliardi di euro, era cresciuto il numero di banche e istituzioni che si sono dichiarate pronte a controfirmare l’accordo. Secondo l’Institute of international finance (Iif), un totale di 32 banche che detengono 84 miliardi di euro di titoli greci, hanno accettato i termini dello scambio, portando l’adesione allo swap al 40 per cento. Secondo Bloomberg, però, le adesioni sarebbero invece già al 58% e per altri già al 66%. Per partecipare alla conversione, gli investitori privati hanno tempo fino alle 21 di oggi.
Il premier Lucas Papademos si è detto fiducioso e di puntare al 90% di adesioni, con un livello minimo fissato al 75%. Atene, comunque, dispone di una carta importante: un mese fa ha introdotto una legge che permette all’esecutivo di costringere i detentori di titoli di debito ellenici emessi sotto la legge greca (che contano per ben 177 miliardi sui 206 complessivi) ad accettare i termini dello swap, che siano d’accordo o no. Il problema è, invece, rappresentato da quanti detengono i titoli di debito per 21 miliardi emessi in base alla legge internazionale.
Questo gruppo di bond-holders è pari a circa il 10% del totale, ma anche in questo caso esiste una forma di pressione: se i due terzi dei detentori di titoli votano a favore, allora il concambio può essere imposto anche a chi è contrario, ed è proprio su questa tavolo che alcuni istituti stanno giocando la loro partita. Chi, infatti, detiene sia titoli di debito sia credit default swap (cds), ha infatti interesse a non accettare i termini del concambio, ma a votare a favore di un’imposizione dei termini. Questa imposizione farebbe infatti scattare, nei calcoli di questi istituti, il pagamento dei cds, ossia le assicurazioni sui crediti che valgono 3 miliardi di euro. In questo modo, dunque, le banche che possono scegliere questa via riceverebbero, da una parte i nuovi titoli di debito per un controvalore del 46,5% di quelli attualmente presenti nel loro portafoglio, e al contempo beneficerebbero del pagamento dei cds. Resta da vedere quali sarebbero le conseguenze di una mossa del genere. Secondo numerosi esperti, infatti, questo potrebbe rimettere sotto pressione Paesi come l’Italia e la Spagna, e generare nuove tensioni attorno ai titoli bancari.
Ieri, comunque, gli indici europei sono stati sostenuti anche dal buon andamento di Wall Street, incoraggiata dalle stime Adp sui nuovi posti di lavoro del settore privato a febbraio, che hanno registrato una crescita di 216 mila unità, poco sopra le attese. Hanno deluso, invece, gli ordini all’industria tedeschi di gennaio, in calo del 2,7% rispetto a dicembre.
Sul fronte dei titoli di Stato torna a restringersi lo spread tra il Btp e il Bund decennale, che scende a 324 punti dopo un massimo a 335. Le piazze europee hanno chiuso in rialzo. Bene anche Milano in progresso dell’1,11% grazie ai bancari e con il Banco Popolare che è salito del 7%. Oggi inoltre è attesa anche una riunione della Bce che, però, secondo gli osservatori, non dovrebbe intervenire sui tassi di interesse. Quanto all’operazione in corso ad Atene i giudizi negativi non mancano. Secondo George Magnus, di Ubs, anche in caso di successo dello swap le prospettive di un’insolvenza sui pagamenti della Grecia e di una fuoriuscita del Paese dall’euro «stano aumentando più che diminuire».
La Grecia, infatti, è in una situazione molto difficile e potrebbe avere bisogno di altri 40 miliardi di euro di sostegno, anche dopo il 2014, trasformandosi in quel pozzo senza fondo che è l’incubo della cancelliera Angela Merkel.
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