Greco cambia Generali ma delude il mercato

nostro inviato a Londra

Cambiare prospettiva, rompere con il passato. O, come ha detto il «group ceo» Mario Greco, «riportare Generali a una forte profittabilità e superare il suo tallone d'Achille: una governance opaca». La filosofia del nuovo piano della compagnia assicurativa al 2015, presentato ieri a Londra, ha in sé qualcosa di rivoluzionario. Ma la rivoluzione di Greco è dolce. L'unico «giacobinismo» è il classico (e conservatore) focus sul core business, a partire dai mercati più promettenti come l'Est Europa e la Cina. Forse per questo il mercato ha reagito a dir poco con freddezza: -3% a 14,1 euro. Troppo prudenti le stime e troppo ghiotta l'occasione per prendere profitto sui recenti rialzi: dall'insediamento di Greco in agosto il titolo aveva guadagnato il 41,7 per cento.
Greco ha puntato sul rafforzamento della solidità patrimoniale: Solvency I ratio al 160%, risultato operativo sopra i 5 miliardi, 2 miliardi di cash flow, un Roe del 13% (dal 10%) e un rating «AA» più elevato di un gradino. Le cessioni degli asset non core (a partire da Bsi e Generali Usa) dovrebbero portare 4 miliardi di capitale regolamentare. Il tutto si compendia con un aumento della quota di risultato operativo Danni sul totale al 50% (dal 35%) e con 600 milioni di risparmi sui costi senza tagli al personale. Ci saranno soddisfazioni anche per gli azionisti: «Non prevediamo di ridurre il dividendo», ha chiosato Greco. Il pay-out dovrebbe attestarsi al 40% degli utili.
Allora dov'è la rivoluzione? E perché non si è tradotta in un rialzo? Partiamo dai giudizi degli analisti più generosi, cioè Merrill Lynch e Deutsche Bank che hanno un «buy» su Generali. L'obiettivo di 5 miliardi di risultato operativo non è molto distante dai 4,4 miliardi stimati per il 2012 dall'istituto tedesco. Così come una Solvency del 160% non si discosta molto dall'attuale 155%. Insomma, escluso l'acquisto del restante 24% di Ppf da Petr Kellner a fine 2014, Generali impiegherà le risorse delle dismissioni per ottimizzare il debito. Oppure, e questo Greco l'ha fatto capire («sono target seri e raggiungibili, spero di superarli»), il Leone ha sottostimato il suo potenziale per sorprendere il mercato a fine piano. Un altro merito se l'è attribuito direttamente il ceo: aver evitato l'aumento ricorrendo ai bond perpetui per pagare il 25% di Generali Ppf. «Chiederemo agli azionisti soldi per operazioni di sviluppo e non per i debiti».
Se si lasciano da parte i numeri, forse si comprende la vera cesura fra Greco e i suoi predecessori. «Finalmente hanno fatto quello che chiedevamo anni fa: hanno preso i best men», ha commentato Davide Serra, numero uno di Algebris ed ex protagonista di battaglie assembleare, alludendo al completamento del management committee con il cio Nikhil Srinivasan (ex Allianz) e con il coo Carsten Schildknecht (ex Deutsche Bank). «Ora ci sono dieci persone che valutano una proposta di investimento», ha detto Greco circa la nuova governance.

Non ci sono più zone d'ombra: lo dimostra la scelta di passare al controllo diretto del 38% detenuto nella russa Ingosstrakh. «Faremo il massimo per valorizzare gli asset di Generali a copertura delle passività della clientela». Sembrano frasi fatte, ma c'è in nuce tutto Greco: non contano le «relazioni» ma il ritorno per gli azionisti.

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