La guerra del tacco dodici: la fondatrice cita Jimmy Choo

Tamara Mellon accusa il fondo che ha acquistato il brand «Gli artigiani italiani non possono lavorare per me»

La guerra del tacco dodici: la fondatrice cita Jimmy Choo

Scoppia la guerra dei tacchi a spillo. I famosi stilettos di Jimmy Choo sono finiti al centro di una battaglia legale fra la ex co-fondatrice del marchio inglese di scarpe, Tamara Mellon, e l'attuale proprietà del gruppo finito nelle mani del fondo di investimento Labelux.

La Mellon ha citato in giudizio la società davanti al tribunale di New York accusandola di aver lanciato una campagna per boicottare il lancio della sua nuova attività imprenditoriale minacciando i produttori di calzature - tutti italiani - se avessero lavorato con lei. Queste pressioni avrebbero costretto l'imprenditrice ad attivare nel dicembre 2015 le procedure fallimentari Chapter 11 da cui è uscita a gennaio, pronta riorganizzare il business della sua nuova linea di scarpe con un nuovo partner, il fondo New Enterprise Associates. Stando alla ricostruzione compiuta dal legale di Tamara Mellon, il gruppo Jimmy Choo avrebbe infranto l'articolo 101 del Tfue (Treaty on the Functioning of the European Union) e questo perché avrebbe impedito ad alcuni fornitori chiave sparsi nel territorio vicino a Firenze di produrre la nuova linea di scarpe e borse dell'imprenditrice. Allegato ai contratti, sarebbe stata predisposta una lettera (in italiano) che impegna la controparte «per la durata dell'accordo con Jimmy Choo, a non produrre nulla o a non contribuire direttamente o indirettamente, anche attraverso persone terze, o altre compagnie o autorità» alla nuova linea di Tamara Mellon che verrà lanciata il 2 ottobre.

La celebre casa di moda britannica è nata nel 1996 dall'eclettico stilista malese Jimmy Choo in partnership con la Mellon, allora caporedattrice di Vogue, che poi ha rilevato il marchio nel 2001. L'avventura di mister Choo era partita con non più di 20 paia create alla settimana in un laboratorio che aveva sede nel profondo East-End di Londra, ad Hackney, usando come atelier l'ala abbandonata di un vecchio ospedale: ebbe la geniale idea di fornire a Vogue le sue scarpe a titolo gratuito, chiedendo però in cambio alla testata di pubblicizzare il suo nome. Vogue non ci mise molto a capire di avere tra le mani un genio. Nel 1988, infatti, gli dedicò un servizio-record di otto pagine. Nel 1990, poi, Jimmy Choo si guadagnò il sostegno di Diana, la principessa del Galles. Fu però Tamara a credere in lui e a mettere mano al portafoglio. E in seguito a portare i tacchi di Jimmy's sui red carpet di Hollywood. Poi, nel 2001, la rottura. Lo stilista cedette la sua quota per circa 10 milioni di sterline al private equity Phoenix Equity Partners e decise di concentrarsi solo sulla linea esclusiva dedicata all'alta moda. Sotto la guida della Phoenix e di Tamara che restò presidente del gruppo Jimmy Choo Ltd aprì altri negozi in giro per il mondo e lanciò altri prodotti nel settore degli accessori. Dopo tre anni Phoenix capitalizzò il suo investimento vendendo per 34 milioni di sterline la sua quota al ramo europeo dell'americana Lion Capital. Quindi è stata la volta della TowerBrooke: l'acquisto della fetta di maggioranza stabilì il valore della società a circa 185 milioni di sterline circa 280 milioni di euro, stando al cambio dell'epoca. Oggi la società è in mano a Labelux.

La Mellon ora starebbe per pubblicare

le sue memorie con un secondo libro autobiografico (il primo, uscito qualche anno fa, si intitolava «In my shoes» ovvero nelle mie scarpe). Proprio nell'anno del ventesimo anniversario della nascita dei tacchi «Jimmy's».

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