I 180 Comuni italiani a un passo dal default

Intanto a Napoli e Roma, grandi bacini elettorali, non vengono richiesti pari sacrifici

I 180 Comuni italiani a un passo dal default

Alzano le tariffe e le tasse al massimo. Cercano a fatica di consolidare i debiti delle partecipate. Mettono in cassa integrazione i dipendenti. E bloccano qualsiasi tipo di investimento. Eppure ancora non basta. La nuova piaga del Paese sono i Comuni a un passo dalla bancarotta: una schiera di circa 180 amministrazioni a rischio default che, come si fa coi libri d'impresa in tribunale, sono stati costretti a portare i bilanci al ministero dell'Interno nella speranza di ricevere un aiutino dallo Stato. Peccato che le regole non siano uguali per tutti. Alla Napoli di Luigi De Magistris e alla Roma di Ignazio Marino, città dai buchi colossai ma anche bacini elettorali imponenti, non vengono chiesti gli stessi sacrifici.

Nel 2009 i Comuni in dissesto erano soltanto due. Negli ultimi cinque anni, però, la situazione è precipitata. Come racconta Federico Fubini su Repubblica, a metà di quest'anno sono già saliti a 63. A Casal di Principe (20mila abitanti), per esempio, debiti per 16 milioni di euro obbligano il neo sindaco Renato Natale a tagliare le spese, alzare le tasse e svendere i beni per liquidare i creditori. Tutto questo senza più essere in grado di garantire la sicurezza, il servizio idrico o gli aiuti alle famiglie in difficoltà. Ad Alessandria (93mila abitanti) tira la stessa aria: ci sono debiti per 200 milioni di euro su un bilancio di 90 milioni. Anche a Caserta (77mila abitanti) il debito è da 200 milioni di euro, ma qui il bilancio è di soli 24 milioni.

Alle 63 città in default se ne aggiungono altre 120 circa in pre dissesto. "Quando è così la ristrutturazione è meno dura - spiega Fubini - spesso limitata a un lungo rinvio delle scadenze di pagamento e alla cancellazione degli interessi di mora". I sacrifici, però, sono pur sempre sacrifici. E in città come Frosinone, Reggio Calabria, Catania e Messina si fanno sentire sempre di più. Le imposte continuano a crescere, i servizi pubblici si fanno sempre più scadenti. È un malessere generalizzato. Laddove non entra in campo la politica. A Roma e a Napoli, per esempio, la posta (elettorale) è troppo alta perché si costringano i sindaci a una ristrutturazione del debito forzosa. Così i sacrifici sono meno duri.

I debiti del Campidoglio, per esempio, sono stati spostati in una sorta di bad company che ha permesso a Roma Capitale di ripartire senza tagliare nemmeno gli sprechi. Ne sanno qualcosa all'Ama o all'Acea dove l'andazzo è tutt'altro che cambiato.

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