Tirano un sospiro di sollievo i produttori di prosciutto di Parma e San Daniele, quelli di mozzarelle di bufala, del prosecco e di olio d'oliva, fuori dalla lista nera Usa che farà scattare dazi sulle merci europee per un controvalore di 7,5 miliardi di dollari dopo il verdetto di mercoledì dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Ma per gli altri, la conta dei danni è già cominciata ancor prima del 18 ottobre, quando scatterà la tagliola delle tariffe punitive. Sulle esportazioni di pecorino romano, parmigiano reggiano, provolone, gorgonzola, Asiago, salumi, mortadelle, cozze e liquori sarà applicata una tassazione del 25 per cento.
Meglio di quanto previsto («Temevamo dazi al 100%», ha spiegato il direttore generale del Consorzio Grana Padano, Stefano Berni), ma pur sempre una legnata dolorosa che va a colpire i prodotti tricolori più imitati, il cosiddetto Italian sounding. La Coldiretti, calcolatrice alla mano, ha già provato a quantificare quali saranno gli effetti: per il Parmigiano reggiano il dazio passerà dagli attuali 2,15 dollari al chilo a circa 6 dollari al chilo. «Ciò significa - prosegue la nota - che il consumatore americano acquisterà il Parmigiano reggiano ad un prezzo maggiorato: se oggi il costo è pari a circa 40 dollari al chilo, dal 18 ottobre a scaffale sarà ben oltre 45 dollari al chilo». In pratica, un rincaro tale da mettere le preziose scaglie di formaggio di difficile collocazione negli store a stelle strisce. Poteva però andare peggio: altre stime del consigliere delegato di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia, indicano l'impatto in un 9,2% sui 4,2 miliardi complessivamente esportati ogni anno dall'Italia oltre Atlantico. Conferma il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio: «La lista Usa ci colpisce, ma sembrerebbe meno di altri Paesi».
Ora si guarda, più che alle annunciate misure di ritorsione da parte dell'Ue per una ventina di miliardi che potrebbero innescare aumenti di prezzo su beni iconici Usa come alcune bevande gassate, i jeans e il ketchup, nella possibilità di trovare un punto di mediazione con l'America di Donald Trump. Forse ancor prima del prossimo pronunciamento da parte del Wto - atteso nei prossimi mesi - sull'ennesimo capitolo di quella che è stata ribattezzata come la «faida dei cieli», causa sussidi illegali, fra il consorzio europeo Airbus (di cui l'Italia non fa parte) e l'americana Boeing. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha non a caso fatto ieri un richiamo alla necessità di «un esercizio di grande e congiunta responsabilità. Sostituire alle politiche di cooperazione quelle di competizione certamente non aiuterebbe». Non sarà comunque facile. In tutti i lunghi mesi di braccio di ferro commerciale con la Cina, The Donald non ha mai mostrato di voler essere accondiscendente. L'inquilino della Casa Bianca ha accolto la sentenza del Wto come «una grande vittoria per gli States, una vittoria da 7 miliardi di dollari».
Un verdetto che ha inferto un duro colpo alle già fragili relazioni commerciali Usa-Ue dopo l'imposizione delle tariffe siderurgiche dello scorso anno e con la spada di Damocle dei dazi che incombe sull'industria automobilistica europea.
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