I dipendenti Unilever incrociano le braccia: no ai 121 licenziamenti

Oggi le prime due ore di sciopero. Il pacchetto prevede 16 ore di astensione dal lavoro per tutelare i dipendenti, molti dei quali sono giovani e quindi non avrebbero diritto neanche alla cassa integrazione

Centoventuno persone rischiano di perdere il posto. I lavoratori Unilever ieri sono scesi in strada per protestare contro lo spettro dei licenziamenti. L'assemblea dei dipendenti e le organizzazioni sindacali il 7 febbraio scorso avevano dichiarato lo stato di agitazione e avevano deciso un pacchetto di 16 ore di sciopero.
Oggi, per la prima volta, hanno incrociato le braccia dalle 10 alle 12, davanti alla sede romana di via Paolo di Dono. «A seguito del primo incontro del 5 febbraio fra Unilever, sindacati e rsu per avviare il processo di esame congiunto della procedura di mobilità per 121 posizioni aperta il 23 gennaio 2014 - spiegano le rsu - ritenendola inaccettabile, di concerto con i lavoratori e i sindacati, abbiamo dichiarato aperto lo stato di agitazione con blocco degli straordinari e 16 ore di sciopero». «Le argomentazioni di Unilever, rispetto ai motivi che hanno generato l'apertura della mobilità, sono a nostro avviso non consistenti - continuano i portavoce -. Unilever dovrebbe ricorrere a 121 licenziamenti, di cui 108 soltanto a Roma. Ciò che lascia perplessi e interdetti, secondo le stesse organizzazioni sindacali, è che non si sta parlando di un'azienda in crisi. Si tratta infatti di una società che continua a fare profitti, che non ha bilanci in rosso, che certamente può aver risentito della crisi economica globale, ma che di fatto continua a produrre utili. Per questo motivo, le argomentazioni di cui si è avvalsa Unilever per giustificare la messa in mobilità di questo consistente numero di lavoratori, risultano del tutto inaccettabili, soprattutto agli occhi di quei lavoratori che saranno le vittime sacrificali di questa anomala ristrutturazione aziendale».
La rsu ricorda che rimangono 75 giorni di tempo per salvare i dipendenti «condannati». «Si perché si tratta di persone tra i 40 e i 50 anni d'età - spiegano i paladini dei lavoratori - ben lontane dai requisiti pensionistici, per le quali non sono previsti neppure ammortizzatori sociali, non avrenno quindi cassa integrazione e davanti hanno solo lo spettro della disoccupazione».


Eppure il sito Unilever recita «Riteniamo che fare business in modo responsabile abbia un impatto sociale positivo, pertanto creiamo ricchezza e la condividiamo, investendo nelle economie locali e sviluppando le capacità dei nostri collaboratori, sia all'interno dell'organizzazione sia nelle comunità in cui operiamo». Parole che, alla luce dei fatti, sembrano vuote e offensive.

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