I sindacati lo definiscono «un accordo vuoto» e gli esperti del settore l'anticamera per un'Ilva di «serie b», dalla quale Arcelor uscirà entro l'anno. Dopo cinque mesi di trattative, l'intesa firmata ieri tra i commissari di Ilva in amministrazione straordinaria e Arcelor Mittal, sancisce la pace legale tra le parti (decadono tutte le cause in corso), ma è piena di criticità: manca l'accordo con i sindacati sul fronte occupazionale, gli investimenti ambientali e industriali sono vaghi (sull'Afo 2 si farà 50-50), e ci vuole tempo per realizzarli, manca lo scudo penale, e i livelli produttivi restano bassi per qualità e quantità. Il grido d'allarme parte, in primis, dai sindacati che promettono battaglia nonostante, da contratto, dovrebbero dare il via libera all'accordo entro maggio.
Ma anche tra gli esperti del settore c'è scetticismo. «Sono convinto - spiega a il Giornale Carlo Mapelli, docente del Polimi esperto di Siderurgia - che Arcelor Mittal si prepari a lasciare Taranto perché non ha alcun senso per un player di questo calibro restare all'Ilva: si tratta ormai di un sito che non ha le garanzie produttive per ripagare gli investimenti. Non ora almeno, ci vorranno anni». E d'altra parte, nell'accordo firmato ieri, la way out per i franco-indiani è tracciata, e nemmeno onerosa: «Il contratto di affitto modificato tra Arcelor Mittal e i commissari dell'ex Ilva prevede che AM InvestCo possa esercitare il recesso entro il 31 dicembre 2020, nel caso in cui non sia stato sottoscritto il Nuovo Contratto di Investimento entro il 30 novembre 2020». Un diritto per il quale dovrà versare ad Ilva «una caparra penitenziale di 500 milioni di euro».
Una situazione che potrebbe venire a crearsi concretamente visto che si profila all'orizzonte la medesima situazione di un anno fa: sindacati sulle barricate ed enti locali tarantini ostili e pronti a fare opposizione. D'altra parte, Arcelor Mittal si impegna «ad impiegare» solo alla fine del nuovo piano industriale 2020-2025 «il numero complessivo di 10.700 dipendenti». Nel frattempo, scenderebbe in campo la Cigs. Troppo poco per le sigle sindacali che (anche sulla base della precedente intesa, pre-recesso) hanno sempre sostenuto l'ipotesi zero-esuberi.
C'è poi tutta la questione della quantità e della qualità della produzione. Secondo Am InvestCo: «L'accordo è strutturato attorno a un nuovo piano industriale per Ilva, che comprende investimenti in tecnologie per la produzione di acciaio a basso utilizzo di carbonio. L'aspetto fondamentale è la costruzione di un impianto per pre-riduzione del minerale ferroso (Dri), che sarà finanziato e gestito da investitori terzi, e un altoforno ad arco elettrico che sarà costruito da Am InvestCo». Un progetto che però prevede che «il grosso degli investimenti da fare sulla parte non permetta di produrre acciaio, in quegli impianti, per almeno 1 anno e mezzo». Una situazione difficile che Arcelor ha ben presente.
La qualità del prodotto Ilva sarebbe anche cambiata. «Secondo il mercato - conclude Mapelli - ormai da Taranto esce un acciaio che non è in grado di soddisfare la fascia alta del settore, quella che dà più margini e volumi».
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