Cosa ci insegnano le cronache di questi ultimi giorni sui salvataggi di Carife, Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti? Che del senno di poi sono piene le fosse. In finanza, nella gestione dei risparmi, ci si ritrova sempre a fare i conti dopo, con ciò che si sarebbe dovuto sapere e fare prima. Di chi è la colpa di quanto accaduto? Dei regolatori incapaci di normare il corretto uso degli strumenti finanziari? Dei controllori che dovevano verificare lo stato patrimoniale delle banche e la loro conduzione? Di addetti allo sportello che hanno venduto titoli che non avrebbero dovuto vendere a piccoli risparmiatori? Dei risparmiatori stessi che avrebbero dovuto conoscere ciò che stavano sottoscrivendo? Probabilmente di tutto un po'. Sta di fatto che il nuovo problema è legato alla reale valorizzazione dei titoli azionari e obbligazionari di banche non quotate. Oggi se quei titoli venissero prezzati dal mercato, invece che da un cda, chi li comprerebbe? E soprattutto, chi riuscirebbe a venderli? È poi assurdo che le banche, quelle sane, quelle che hanno evitato che i fallimenti delle altre quattro prendessero corpo, siano nell'occhio del ciclone. Il sistema bancario italiano, nel suo complesso, nell'operazione di salvataggio, ha investito oltre 2,5 miliardi, sacrificando la metà degli utili del 2014. Una cifra incredibile e un'operazione, che, però, è passata completamente sotto traccia nelle polemiche successive. Questo è un ulteriore, grave difetto di comunicazione, perché non permette di far comprendere al mondo del risparmio come ci siano differenze sostanziali tra istituti solidi e quelli che non lo sono, come ci siano ancora interlocutori affidabili.
I risparmiatori dovranno imparare a scegliere, a imparare a vivere consapevolmente, a differenza di quanto fatto finora. Di ciò si parlerà nella trasmissione Mercati Che Fare, in onda domenica alle 22.00 su TgCom24.leopoldo.gasbarro@me.com- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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