Crédit Agricole non è più un azionista di Intesa Sanpaolo. La banque verte, scesa all'1,935% alla fine dello scorso agosto, ha progressivamente ceduto la quota nel corso dell'ultimo trimestre 2012 e ieri, presentando i risultati annuali, ha comunicato al mercato l'avvenuta dismissione.
La minusvalenza per l'istituto transalpino, guidato da Jean-Paul Chifflet, è stata di 445 milioni di euro. Si tratta di una goccia nel mare dei 3,98 miliardi di perdite del quarto trimestre (-6,5 miliardi nell'intero 2012) determinate da svalutazioni degli avviamenti, deconsolidamento della spagnola Bankinter e dalla minusvalenza sulla cessione della greca Emporiki.
Sul 5,8% inizialmente detenuto dall'Agricole, l'Antitrust aveva concentrato le proprie attenzioni sin dal 2009 per via del patto di consultazione siglato con Generali. La commissione, all'epoca guidata da Antonio Catricalà, impose quindi ai francesi di sterilizzare i diritti di voto su queste quote e di avviare un piano di dismissione del pacchetto fin sotto la soglia del 2 per cento. Un provvedimento dettato dalle probabili restrizioni della concorrenza che sarebbero potute scaturire dai possibili conflitti di interessi di un gruppo sempre più presente in Italia (Crédit Agricole controlla Cariparma, Friuladria e Carispezia). E così, piano piano, l'istituto francese ha iniziato il lento cammino di discesa sotto il 2%, concluso solo ad agosto 2012 per via della crisi.
La questione principale è un'altra, e riguarda principalmente Intesa Sanpaolo e il suo assetto. Innanzitutto, occorre ricordare che la presenza francese ormai era solo «simbolica». Ma a guardare bene l'azionariato attuale, vi si trova un 24,7% di proprietà delle Fondazioni (9,7% della Compagnia di San Paolo, 4,9% di Cariplo e 4,7% di Carisbo in primis) e un 3,1% in mano a Generali.
Ne consegue che oltre il 72% di Intesa è detenuto dal mercato: fondi di investimento in primis. Ex post non fa specie che il primo passo del ceo Enrico Tomaso Cucchiani, l'anno scorso, sia stato un roadshow con tappe a Londra e a New York per presentare la banca.
Insomma, il nocciolo duro degli azionisti di Intesa rappresenta poco più di un quarto del capitale. Ma in una public company, quale ormai si può considerare questa banca, quello che conterà sempre più in primo luogo è la capacità di raggiungere risultati (in inglese si dice delivery) e dare soddisfazioni agli azionisti tramite i dividendi.
Non sorprende, a questo punto, non solo la modifica della governance con un cdg snello e a maggioranza di manager dalla prossima primavera l'intenzione di dare un taglio più internazionale e moderno alla governance (ovviamente in stretta osservanza ai dettami di Bankitalia). Di qui, oltre alla conferma di Gaetano Micciché al Corporate & Investment banking, la valorizzazione di professionalità come quelle di Giuseppe Castagna, Carlo Messina e Francesco Micheli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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