Economia

"Intesa-Ubi, a guadagnare è il Paese"

Il presidente di Imi Corporate: "L'Antitrust? Competizione in chiave più ampia"

"Intesa-Ubi, a guadagnare è il Paese"

Alla vigilia del lancio dell'offerta di Intesa per conquistare Ubi Banca (che dovrebbe partire lunedì) Gaetano Micciché spiega al Giornale perché l'operazione è pensata anche nell'interesse del sistema Italia. E lo fa da un osservatorio, quello di presidente della divisione Imi Corporate di Intesa Sanpaolo, che è anch'esso stato oggetto di recente cambiamento, con l'integrazione di Banca Imi nella capogruppo e all'interno della divisione a livello organizzativo. Una mossa, ideata dal ceo di Intesa Carlo Messina, che ha lo stesso obiettivo dell'Ops su Ubi: mettere il gruppo Intesa sempre più al centro della Corporate Italia.

Perché Banca Imi è stata integrata?

«È la realizzazione del progetto del piano presentato da Messina due anni fa. La divisione corporate è un'importante area di business, dedicata ad aziende medie e grandi. Con l'obiettivo di offrire a clienti continuità di relazione, il network nazionale e internazionale di Intesa e la più ampia gamma di prodotti per le imprese».

Network internazionale?

«In Europa abbiamo branch a Londra, Parigi, Amsterdam, Francoforte, Vienna; in Medioriente e Dubai, Doha, Abu Dhabi; in Asia Hong Kong, Tokio, Singapore; una banca a San Paolo e una filiale a New York».

Quando dice prodotti, a cosa dobbiamo pensare?

«Al ventaglio dell'equity capital market, da sempre offerto da Imi, alle opportunità di investimento del private equity, con cui abbiamo varie e forti relazioni, a tutto quello che riguarda il debito, fino alla finanza strutturata».

Cosa cambia dal 20 luglio, con l'integrazione societaria di Banca Imi?

«Dal lato operativo in senso stretto cambia poco. Imi viene integrata ma il brand è talmente importante che si è deciso di chiamare così la divisione corporate and investment banking».

Quindi è una questione di modello operativo e organizzativo?

«Il modello bancario per divisioni, guidato da un'esigenza di semplificazione, è quello che Messina ha perseguito da sempre. Vale già, per esempio, per la Banca dei Territori, ma anche per tante altre realtà del gruppo che in origine erano entità giuridicamente distinte».

È il modello in cui volete assorbire Ubi: perché crede che Intesa aggiungerà valore per azionisti e clienti, che non paiono molto convinti?

«Ubi è una banca ben gestita, sana, ha tante valenze. Ma noi diamo alle aziende clienti, penso in particolare a quelle di medie dimensioni, imprese tra i 50 e i 400 milioni di fatturato, maggiori possibilità per crescere e internazionalizzarsi. Pensi, per fare un esempio, che in Est Europa abbiamo 11 banche. Offriamo la massima opportunità di entrare in rapporti con mercati di approvvigionamento, di sbocco, e di creare partnership nazionali e internazionali. Il network di Intesa può generare grande valore. Pensiamo anche al private equity dove noi abbiamo tante partecipazioni, da 21 Investimenti a Investindustrial a Charme di Montezemolo, solo per citarne alcuni».

E Intesa? Perché avete scelto proprio Ubi?

«Il cda della banca con Messina si sono posti l'obiettivo di dar vita ad un gruppo ancor più fortemente radicato in Italia e protagonista nel panorama bancario europeo. Una evoluzione vista con favore dalle autorità di Vigilanza. Ubi era l'obiettivo più interessante. Non ultimo per i territori in cui è presente, non solo Lombardia, Piemonte, ma anche in molte aree del resto della Penisola. Verranno infatti create 4 nuove direzioni regionali a Bergamo, Brescia, Cuneo e Bari, tutte dotate di ampie deleghe creditizie».

L'Antitrust sta ancora indagando sull'operazione: come ci si deve porre, in generale, di fronte al conflitto tra consolidamento e concorrenza?

«Le banche svolgono oggi un ruolo a tutto tondo, forniscono in maniera articolata molti tipi di prodotti e servizi. La competizione deve essere vista in chiave più ampia. E in Italia c'è comunque molta concorrenza. Non è un caso che recentemente si siano presentate nel settore bancario del nostro Paese nuove realtà in grado di stimolare competitors e mercato».

Dica di Unicredit: non hanno gradito la vostra Ops su Ubi.

«Con Unicredit abbiamo rapporti normali, quelli di due realtà concorrenti».

E di Mediobanca? L'Ops Ubi ha fatto avvicinare due mondi che non si parlavano.

«Mediobanca è stata nostro advisor, già tempo fa, per l'operazione Intrum. Carlo Messina e Alberto Nagel hanno rapporti eccellenti. Altre ricostruzioni appartengono al colore giornalistico».

Ma in fin dei conti, se io fossi un socio Ubi, perché mai dovrei aderire all'offerta di Intesa e perdere la mia banca?

«Perché non è così. I soci Ubi saranno azionisti di gruppo solido e con grandi potenzialità di crescita, come è successo per tutte le banche che abbiamo integrato ovunque in Italia. Intesa ultimo caso le venete ha mostrato di avere nel suo dna la capacità di creare integrazioni di successo nell'interesse delle persone che ci lavorano, dei clienti e degli azionisti. E poi Intesa è una public company, non ha padroni, è guidata dal management.

Intesa-Ubi darà risultati che sia dal lato industriale, sia da quello economico saranno di grande rilevanza per il Paese».

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