Economia

Conviene ancora investire nel settore immobiliare?

Conviene ancora investire nel settore immobiliare?

"Il mattone è da sempre il bene rifugio degli italiani, ma è ancora una valida strategia da tenere in considerazione per investire i propri risparmi? È questa la domanda che hanno iniziato a porsi moltissimi investitori (e non) circa la validità di continuare a comprare immobili, a prescindere dalle ubicazioni e tipologie. A fronte di un’economia ancora stagnante (forse in leggera ripresa) la maggior parte dei cittadini italiani non cambia idea. Il settore del real estate, ovvero il settore immobiliare, continua a suscitare non solo un gran fascino ma è ancora il traino dell’intera economia del paese. “Se riparte l’edilizia, riparte l’Italia”. Ecco una delle frasi che si sente spesso dire.

Questo perché secondo l’Istat (Istituto nazionale di statistica) l’Italia è il paese dei proprietari di casa per eccellenza. Dai dati emersi riguardanti il 2018, oltre il 70% delle famiglie residenti, pari a quasi 19 milioni di famiglie, vive in case di proprietà, mentre il 20% circa vive in case in affitto o in sub-affitto, e un 10% vive in abitazioni per cui risulta avere titolo di usufrutto o altro. I sostenitori della tesi che investire in immobili sia una strategia finanziaria ottimale, asseriscono che il valore degli immobili non sia correlato ai normali rischi di mercato, e che la volatilità, ovvero l’oscillazione, dei prezzi degli edifici dipenda solo dai diversi cicli economici e da altri fattori eterogenei rispetto agli andamenti finanziari. Si deve dare atto che l’investimento in una casa o un appartamento di proprietà sia una scelta giusta, specie se acquistata con l’intento di andarci ad abitare (dichiarandola quindi come prima casa).

In questo scenario, prendendo come esempio una giovane coppia o una famiglia, di sicuro ci sarebbe un guadagno. La scelta tra rimanere in affitto o comprare una prima casa vede sicuramente la seconda opzione come la decisione migliore da intraprendere, specie in questo periodo di bassi tassi di interesse per mutui (anche a lunghissimo termine, 30/35 anni), e per risparmiare i soldi pagati per l’affitto, considerando il fatto che alla fine del mutuo l’edificio acquistato è di proprietà, e quindi non richiede un ulteriore flusso di cassa in uscita di denaro negli anni a venire. Il discorso cambia, invece, se si considera l’acquisto di un immobile come seconda o terza casa. Nel caso di acquisto per investimento, ad esempio mettendo in locazione la proprietà, si devono tener conto una serie di fattori che potrebbero far vacillare la sicurezza della scelta intrapresa.

Un immobile in locazione comporta una serie di costi, oltre alla perdita di valore dell’immobile stesso, non sempre compensati dal canone di affitto mensile/annuale. I costi da considerare sono molteplici, tra cui tasse immobiliari, manutenzione dell’immobile, pagamento di mutuo (in caso di finanziamento bancario per l’acquisto), assicurazione finanziaria, ecc. Come abbiamo visto, le problematiche di acquistare casa sono in realtà consistenti. Nonostante la casa sia un bene rifugio, si deve mettere in conto che la grande maggioranza delle abitazioni subiscono anche loro il passare del tempo. Ciò porta ad una graduale perdita di valore dell’immobile (il cosiddetto deprezzamento) che erode il prezzo storico di acquisto dell’immobile stesso. Ad esempio, una casa acquistata oggi a 200mila euro non potrà avere lo stesso valore tra 10/20/30 anni, e perderà inevitabilmente una percentuale del suo valore ogni anno. Questo discorso è valido soprattutto per gli immobili ubicati in periferia, mentre la maggior parte di edifici situati nei centri cittadini (se ristrutturati e ben tenuti) possono addirittura rivalutarsi in positivo negli anni, come registrato in alcune grandi città: Milano, Roma, Firenze, Napoli e Venezia.

Ad influenzare al ribasso la stima degli immobili sono una serie di fattori che contraddistinguono attualmente le nuove abitazioni, ad esempio le nuove tecnologie di costruzione, la classe energetica dell’immobile, la percentuale di autosufficienza della proprietà stessa (case smart, impianti fotovoltaici e geotermici, accumulatori di energia fotovoltaica, illuminazioni a led, raffrescatori evaporativi, ecc.) La previsione di molti analisti profetizza un graduale aggravamento del quadro del mondo immobiliare italiano che accadrà nei prossimi 10/20 anni, quando l’offerta di immobili supererà di gran lunga la domanda immobiliare. Le cause di questo sproporzionamento riguardano principalmente il calo demografico, l’attuale flusso di emigrazione di cittadini italiani (a differenza del flusso di immigrati in entrata nel paese), e l’incolmabile disequilibrio tra persone in età lavorativa (e quindi attivi nel mondo del lavoro) e persone in età pensionabile. Lo scenario prevede che ci saranno moltissime persone che erediteranno 2/3 immobili in media dai propri genitori e/o famiglie, e che, a loro volta, non riusciranno a mettere a rendimento queste proprietà, affossando di conseguenza in tasse, costi di manutenzione e rendite pressoché inesistenti.

La probabilità di questa infausta realtà dovrebbe essere un buon monito per i molti risparmiatori italiani che ancora continuano a credere che gli investimenti nel mattone siano le migliori possibilità di collocamento dei propri soldi. Forse, dovremmo iniziare a cambiare modus pensandi, cominciando a considerare investimenti “alternativi” da quelli nel settore real estate. A tal proposito, l’azienda milanese Moneyfarm, società di gestione patrimoniale 100% online, offre la possibilità di investire i propri risparmi in 14 portafogli diversi e diversificati in termini di investimento, a seconda del profilo di rischio del singolo investitore. Da una simulazione realizzata da Moneyfarm, considerando un orizzonte temporale di 20 anni e un investimento iniziale di 100mila euro, l’investitore che avesse investito i propri risparmi all’inizio del 2019, anziché lasciarli parcheggiati in banca, avrebbe realizzato un guadagno potenziale stimabile indicativamente tra i 10.000 e i 60.

000 euro (presupponendo rendimenti medi netti dal 2% al 6%, a seconda del livello di rischio assunto, e prospettando la continuità di rendimenti storici finora ottenuti) se avesse mantenuto l’investimento nel tempo.

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