Il fintech, settore di avanguardia in cui si giocano gli sviluppi di frontiera della finanza e in cui sta prendendo forma una vera e propria rivoluzione dei modelli di servizio destinata a far sentire a lungo i suoi effetti, spopola nel Vecchio Continente. E lo è a partire dal tradizionale epicentro della finanza europea, Londra, che ha svolto un ruolo analogo nello sviluppo del settore a livello aggregato. Sotto il cappello di Fintech stanno tutte quelle iniziative che, attraverso le tecnologie digitali, provano a offrire servizi finanziari alternativi a quelli proposti dalle aziende tradizionali. Le aziende Fintech provano a inserirsi in un vuoto lasciato dalla finanza tradizionale, storicamente uno dei settori più lenti a innovare anche per via della complessità dei modelli aziendali.
Questa inerzia ha dato la possibilità ad aziende innovative di offrire servizi in grado di rispecchiare gli standard qualitativi della moderna epoca digitale, facendo spesso e volentieri leva sul tema della trasparenza, in opposizione a un’industria finanziaria percepita spesso ben poco limpida dal cliente dopo il 2008. Molte di queste iniziative innovative hanno avuto un effetto dirompente e questo ha spinto verso l’alto gli investimenti nel settore. Basti pensare che nel 2017 Londra ha visto investimenti pari a 375 milioni di euro nel suo settore fintech, mentre a distanza seguivano Berlino e Stoccolma con 124,5 e 85 milioni. Anche in un contesto di profonda incertezza per il dopo Brexit, una start-up fintech come Prodigy Finance è riuscita a raccogliere 213,5 milioni di euro nel corso del suo fundraising, mentre il provider di servizi finanziari Neyber ne ha raccolti 133. Come sottolinea Forbes, ""un volano per lo sviluppo del fintech londinese è il fatto che il settore finanziario cittadino è situato a fianco di quello tecnologico, consentendo una sovrapposizione di risorse e la presenza di una forza lavoro preparata. Il governo britannico, inoltre, ha introdotto una serie di incentivi agli investimenti"" basata su un sistema di credito d'imposta per le imprese fintech. Ma Londra non è sola. Interessante è il caso estone, con la capitale Tallin promossa da un paio d'anni al rango di giovane capitale delle start-up innovative, complice il programma di e-Residency avviato dal governo nel 2014 che, al dicembre 2017, ha consentito a 24.000 imprenditori stranieri di accedere a una licenza imprenditoriale estone e ai conseguenti bonus fiscali senza la necessità di una residenza sul campo.
Questo ha portato a un accrescimento del ruolo estone nel campo fintech, mentre analogamente importante è il modello messo in campo da Lisbona: la capitale portoghese, negli ultimi tempi, è meta privilegiata dei fondi di venture capital che promuovono lo sviluppo di giovani imprese e incubatori nel settore finanziario d'avanguardia. La Brexit, in questo contesto, non sembra essere destinata a impattare sulle società già esistenti nel Regno Unito o a causare un effetto-slavina che porti le imprese fintech al di fuori dai suoi confini nazionali, complice il ruolo peculiare che Londra continuerà a svolgere nella finanza planetaria. Se qualcosa può cambiare, sarà nel campo dei nuovi entranti: e come abbiamo visto, vi sono realtà giovani e dinamiche che potrebbero valorizzare il ruolo del fintech europeo, a cui va necessariamente aggiunta l'Italia di cui si è recentemente parlato a profusione. Il fintech, da un lato, si irradia a partire dal cuore dell'impero finanziario tradizionale, come era logico che fosse visto la presenza di know-how e di una strutturata base di competenze nel contesto londinese, dall'altro disegna i confini di un settore in continuo cambiamento. In cui l'Italia deve inserirsi per non perdere un'opportunità di ampia portata.
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