Economia

Lady Mansi fa la dura ma le Fondazioni ingessano le banche

Lady Mansi fa la dura ma le Fondazioni ingessano le banche

Con il suo «no» all'aumento di capitale di Mps, Antonella Mansi ha guadagnato in pochi giorni quella visibilità che nemmeno la direzione commerciale del gruppo chimico Nuova Solmine, la presidenza di Confindustria Toscana e la vicepresidenza nazionale di Viale dell'Astronomia le avevano dato. Eppure quando Giorgio Squinzi le affidò l'incarico non si nascose dietro un dito: «Penso che volesse una persona con l'energia e il tempo necessario per stare sempre sulla palla».
La decisione e l'autoironia alla presidente della Fondazione Mps non hanno mai fatto difetto, tanto è vero che venerdì scorso, quando l'assemblea fu rinviata per mancanza del quorum, interpellata sull'esito del giorno successivo disse: «Non so se domani l'assemblea riuscirà a costituirsi, non sono una strega anche se qualcuno pensa che lo sia». Ma, in realtà, la capacità di relazione e la determinazione del perseguire un obiettivo l'hanno resa simpatica a una Regione che, per convinzioni politiche, non è proprio amica della classe imprenditoriale. E da grossetana ha difeso Siena meglio dei senesi, contando sull'appoggio del sindaco renziano e del presidente della Provincia.
Merito di Mansi, che non si è fermata dinanzi alla grande esperienza di Profumo, ma anche merito dell'attuale conformazione del sistema bancario che consente ampi margini di manovra alle Fondazioni bancarie. A Siena l'ente controlla il 33,5% (pur se gravato da pegni costituiti proprio per seguire gli avventurosi aumenti di capitale dell'era Mussari) e ha legittimo diritto di parola.
Non vale lo stesso discorso per Genova dove la Fondazione di fatto è il deus ex machina di Carige con il 46 per cento. E dove l'ex presidente Flavio Repetto - prima di essere giubilato - ha messo alla porta il numero uno della banca Giovanni Berneschi che non poteva più rinviare - su pressing di Bankitalia - un aumento di capitale da complessivi 800 milioni. Una Fondazione dove la politica ligure (con il suo nume tutelare, il governatore Claudio Burlando) trova la propria camera di compensazione. Alle nuove guide, il presidente della Fondazione Paolo Momigliano e l'ad di Carige, Piero Montani il compito di sbrogliare la matassa. Senza contare che alcune banche commissariate come Carife e Banca Marche abbiano visto alla presidenza o in consiglio i numeri uno delle rispettive Fondazioni. Un sistema di «porte girevoli» Fondazione-banca-Fondazione che il governatore Ignazio Visco non ha mai smesso di criticare e che comunque è ormai proibito anche dalla Carta dell'Acri.
Analogamente, non si può dimenticare che i movimenti bancari più rilevanti dell'autunno 2013 siano stati aperti dall'avvicendamento Cucchiani-Messina alla guida di Intesa Sanpaolo. E anche lì le frizioni tra l'ex manager e il presidente Giovanni Bazoli non avrebbero potuto trovare una conclusione se il presidente di Cariplo e dell'Acri, Giuseppe Guzzetti, non fosse intervenuto.
Ecco perché Siena è solo la punta dell'iceberg di un sistema trasversale dove potere politico e finanza si intrecciano senza che vi sia la possibilità di un controllo. Non che il controllore non ci sia: le Fondazioni sono vigilate dal ministero dell'Economia, ma ancorché tecnico esso è un controllore «politico». L'Authority indipendente doveva vedere la luce 15 anni orsono. Poi si era pensato a un'autorità che sovrintendesse a tutto il no-profit. Ma la politica si è sempre guardata bene dal passare dalle parole ai fatti.

Forse non è un caso se la Consulta bocciò la «riforma Tremonti» anche nella parte riguardante i criteri di nomina dei cda: voleva escludere i “politici“.

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