Lagarde come Draghi, ma per quanto?

Al suo esordio conferma il Qe. Intanto vuole cambiare la Bce rendendola più politica

Lagarde come Draghi, ma per quanto?

Nulla cambi, perché tutto cambi. Nel rovesciamento dell'universo gattopardesco già si coglie la direzione che Christine Lagarde intende imporre, già nei prossimi mesi, alla Bce. Ieri, la neo-presidente dell'Eurotower non ha toccato una sola posata dalla tavola apparecchiata, prima di accomiatarsi, da Mario Draghi: costo del denaro invariato, nessun rischio di «giapponesizzazione» di Eurolandia derivante dai tassi sottozero e conferma del mantenimento del piano di acquisto titoli fino a quando sarà necessario.

La riproposizione degli stilemi cari al suo predecessore farebbe intendere che l'ex capa del Fondo monetario procederà nel solco della continuità, provando a mettere falchi e colombe d'accordo grazie alla sua saggezza da civetta di Minerva. Poi, però, eccola ragionare più da politico che da banchiere centrale - quale non è, e lo si capisce dal linguaggio - quando annuncia di voler rivedere la strategia della banca centrale. Non c'è niente di strano - dice - : l'ultima revisione è stata nel 2003, quindi è legittimo rivederla. Verrà analizzato quale strumento ha funzionato meglio di altri, ma senza fare distinzione fra misure ordinarie e straordinarie. Insomma: anche il bazooka di Draghi finirà sotto esame. La Lagarde intende coinvolgere tutti: parlamento europeo, banchieri, finanzieri, rappresentanti della società civile. Un brain storming che rischia di essere una cacofonia di voci dissonanti, facendo magari perdere alla Bce la capacità di ragionare - e agire, soprattutto - in autonomia.

A voler essere sospettosi, la consultazione allargata potrebbe essere l'alibi per smantellare l'impalcatura della politica monetaria degli ultimi anni. Forse l'ex ministro francese delle Finanze ha bisogno di chiedere lumi sulla politica monetaria agli ex colleghi con la patente da politico? O ascoltare i banchieri per sapere che ne pensano dei tassi negativi, visti come fumo negli occhi da chi, come il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, si è fatto promotore dello scontento dei colleghi tedeschi?

Le ripetute sollecitazioni con cui la Buba ha chiesto a Draghi di smetterla con le misure di allentamento sembrano inoltre coincidere con i tempi che la Lagarde si è data per riscrivere le regole, cioè entro la fine del 2020. Molto dipenderà dall'evoluzione del quadro congiunturale, ma già ieri la leader dell'istituto di Francoforte ha sottolineato per ben tre volte come l'indebolimento dell'economia si sia fatto meno pronunciato. Gli ultimi dati tedeschi (produzione industriale a picco) raccontano un'altra storia, ma la Bce ha comunque rivisto al rialzo la crescita 2019 all'1,2%, rispetto all'1,1% di settembre, anche se l'anno prossimo il Pil è atteso salire dell'1,1% (in calo dall'1,2%) e dell'1,4% (invariato) nel 2021. Con questi numeri, spazi per interventi strutturali nelle linee-guida non sembrano essercene molti, ma Lagarde forse confida nell'azione dei governi. Al fine di trarre pieno vantaggio dalle nostre misure di politica monetaria - ha spiegato - , altri settori politici devono contribuire in modo più decisivo ad aumentare il potenziale di crescita a più lungo termine.

Poi, il rinnovato invito a Germania e Olanda a usare l'elevato surplus e a Paesi come l'Italia a perseguire politiche prudenti in ragione dell'elevato indebitamento. A conti fatti, i pericoli della nuova gestione possono venire dal linguaggio lagardiano.

Ciascuno ha il suo stile di comunicazione, non fate confronti. Il mio sarà diverso, ha spiegato. Ma i mercati, da un banchiere centrale, pretendono chiarezza e non le sfumature di grigio, declinabili in mille modi, di chi fa politica.

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