Lo stato di avanzamento dell'accordo tra Volkswagen e Ford in direzione di un'alleanza globale, ha riacceso i riflettori del mercato sull'avvio di un possibile risiko. Se tedeschi e americani sono pressoché vicini ad annunciare l'intesa con tutti i benefici reciproci attesi, resta da vedere quale sarà il futuro dell'Alleanza Renault-Nissan-Mitsubishi, in bilico dopo l'arresto dell'ex numero uno Carlos Ghosn. Nissan, infatti, continua a premere per assumere il comando delle operazioni a scapito dei francesi.
In caso di scioglimento, ipotesi respinta finora dagli stessi litiganti viste le importanti sinergie in atto, gli ex alleati (Nissan-Mitsubishi) e Renault potrebbero cercare nuove soluzioni. Le sfide da affrontare sono tante e soprattutto gravose tra mobilità green, guida autonoma e servizi, e la condivisione degli sforzi è sempre più prioritaria.
Intanto, quello di Volkswagen-Ford, rappresenterà, una volta delineata la partnership, il secondo «ponte» Europa-Usa nell'auto dopo quello che ha portato alla nascita di Fiat Chrysler Automobiles. Wolfsburg e Dearborn, però, non sembrano intenzionate a seguire l'esempio di Fca, quello delle nozze. E quest'ultima, attraverso il presidente John Elkann e l'ad Mike Manley, ha già fatto sapere di «avere tutta l'energia per procedere da sola». Allo stato dell'arte, comunque, per il Lingotto sarebbe complicato riallacciare il discorso con Mary Barra, presidente e ceo di Gm, che in passato ha sempre respinto le avances di Sergio Marchionne.
Gm e Donald Trump sono in piena rotta di collisione dopo che la top manager di Detroit ha comunicato 15mila tagli e la chiusura di 5 stabilimenti. E anche dalla Cina, viste le tensioni con Washington, in questo momento è preferibile stare alla larga. C'è sempre il colosso coreano Hyundai-Kia, di cui si è parlato molto nei mesi scorsi. Ma su questo fronte tutto tace.
Volkswagen, da parte sua, dopo il dieselgate emerso proprio negli Usa e tutti i miliardi di dollari versati tra risarcimenti, sanzioni e class action, con la promessa di costruire il secondo impianto nel Nord America e di pianificare investimenti, ha di fatto dato una grossa mano alla cancelliera Angela Merkel, ma anche a Bruxelles, allo scopo di evitare l'applicazione di dazi del 25% sulle esportazioni di auto dall'Europa negli Stati Uniti. Una decisione che avrebbe fortemente danneggiato soprattutto l'industria tedesca. Quella di Herbert Diess, ceo di Vw, è dunque da considerare una mossa molto abile sia sul fronte politico sia su quello dell'immagine sia su quello pratico. L'asse con Ford, infatti, permette ai tedeschi di rafforzarsi sul mercato Usa, non facile anche prima del dieselgate, e di preparare anche Oltreoceano la svolta prevista nel 2040, anno in cui il gruppo abbandonerà definitivamente i motori termici a favore delle auto elettriche e di quelle a guida autonoma. Ford, il cui ceo Jim Hackett è alle prese con il piano di ristrutturazione del gruppo, vuole invece togliersi di dosso l'etichetta di costruttore i cui profitti derivano quasi completamente dal mercato nordamericano. A questo punto, l'alleanza globale con Wolfsburg permetterebbe a Ford la condivisione della struttura produttiva europea, di aumentare il proprio peso in America Latina e guardare con maggiore fiducia all'area asiatica. Un'alleanza, quindi, che dal punto di vista strategico e delle sinergie non fa una grinza.
Anche Bmw e Daimler, che con i rivali di Volkswagen hanno incontrato Trump e il suo staff economico alla Casa Bianca, hanno progetti importanti per gli Usa.
Da Monaco, in proposito, sono in arrivo altri 600 milioni di dollari entro il 2021 e mille nuove assunzioni a Spartanburg (Carolina del Sud). Il ceo di Daimler, Dieter Zetsche, ha invece ribadito la massima attenzione del gruppo di Stoccarda verso gli Stati Uniti.
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