La grande fuga dai diritti d'opzione sull'aumento di capitale del Monte certifica il quasi azzeramento dei vecchi soci della banca senese. Ieri, nel primo giorno di adesione all'operazione da 2,5 miliardi di euro, i diritti di sottoscrizione riservati ai soci (negoziati fino al 25 ottobre ed esercitabili fino al 31) hanno segnato un ribasso del 91,4% (con il prezzo crollato a 67 centesimi e le azioni scese del 2,7% a quota 2,0075 euro). A pesare, la natura iperdiluitiva dell'aumento, con 374 nuove azioni da sottoscrivere ogni tre possedute. Ma anche il quadro incerto, con uno scenario macro in peggioramento che, come osserva la Bce, potrebbe rendere più complesso il raggiungimento dei target del piano dell'ad, Luigi Lovaglio. Sull'aumento di Mps ieri è intervenuto anche il segretario generale della Fabi, il principale sindacato bancario italiano, Lando Maria Sileoni, il quale ha sottolineato che l'aumento «va chiuso entro il 31 ottobre, ma sarà un thriller fino all'ultimo secondo. Nell'accordo col consorzio di garanzia, sono presenti alcune, importanti clausole contrattuali che consentono di risolvere l'accordo, di fatto, in qualsiasi momento».
Al termine dell'operazione il capitale sarà nelle mani di Mef, banche del consorzio di garanzia e del gruppo di un gruppo di investitori istituzionali. Tra questi Axa, che ha confermato tramite un portavoce di partecipare all'aumento di Mps «per un ammontare fino a 200 milioni di euro».
A partite dal mese di novembre, poi, si riaprirà la partita della vendita della banca, che non sembra avere la possibilità di un futuro sulle sue gambe. Sarà della partita anche il nuovo governo, che avrà sicuramente voce in capitolo sulla cessione, dal momento che il ministero dell'Economia ha messo 1,6 miliardi (dopo i 5,4 del 2017) per coprire la ricapitalizzazione.
La spada di damocle sul Monte è però l'accordo con l'Europa: «Il Tesoro deve cedere il Monte dei Paschi di Siena entro il 2024», ha ricordato Sileoni intervistato a Radio Rai Uno. «Durante questo tipo di operazioni c'è chi, come al solito, pretende o pensa che Mps si possa comprare con un euro, come è accaduto a giugno del 2017 con le due banche venete». Il riferimento, ragionevolmente, dovrebbe essere all'operazione con cui Intesa Sanpaolo si portò a casa al prezzo di un euro le attività sane di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, salvate dal governo con soldi pubblici. «Potrebbero essere due o tre le banche a rilevare il Montepaschi, soprattutto per coprire una propria carenza di capitale o deficit di coperture sui crediti deteriorati, cercando di farli apparire come di Mps», è poi la stoccata di Sileoni.
Possibili indiziate a provare a prendersi Mps, per dimensioni, sono Intesa, Unicredit e Bpm. L'ultima di recente, almeno a parole, si è sfilata.
Unicredit è stata in trattative con il governo Draghi, ma alla fine non ha trovato un accordo (chiedeva tra i 6 e gli 8 miliardi per accollarsi il Monte). Intesa invece è sempre rimasta sullo sfondo. Ma non è detto che il ceo Carlo Messina non possa decidere per un nuovo blitz.
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