Nessuno cede, nessun accordo. Vertici straordinari, incontri bilaterali, toni duri alternati a dichiarazioni più misurate non hanno portato a nulla: la Grecia e i suoi creditori sono ancora fermi al punto di partenza, incapaci di trovare una mediazione che scongiuri il pericolo di arrivare alla fine del mese con il piano di aiuti lasciato scadere come un vasetto di yogurt. Nella peggiore delle ipotesi, uno scenario che potrebbe spalancare ad Atene la porta d'uscita dall'euro. Dalla riunione di ieri dell'Eurogruppo, la seconda in meno di una settimana, è infatti arrivata una nuova fumata nera. Segno eloquente che i colloqui tra i tecnici del governo di Atene e quelli dell'ex Troika, conclusisi sabato scorso, sono stati improduttivi.
Tutto è forse rimandato a venerdì prossimo, quando potrebbe andare in scena l'ennesimo faccia a faccia tra Yanis Varoufakis e gli altri ministri finanziari dell'Eurozona. Ma il tempo comincia a stringere, se si considera che Paesi come la Germania, l'Olanda, la Finlandia e l'Estonia devono prima ricevere dai rispettivi Parlamenti il benestare a un eventuale patto capace di rimuovere il dossier Grecia dalle scrivanie dei cancellierati. A dispetto dell'ottimismo sbandierato prima del summit dal commissario Ue agli Affari economici e finanziari, Pierre Moscovici («c'è la volontà di concludere in fretta in modo positivo»), un nulla di fatto era scontato. La faccenda, nella sostanza, è molto semplice: la Grecia vuole fare a pezzi il Memorandum, considerato il vaso di Pandora che, in cambio del soccorso da 240 miliardi, ha sprigionato le tossiche politiche di austerity. Al contrario, l'Eurogruppo considera la proroga dell'attuale programma di assistenza la conditio sine qua non per negoziare un allentamento delle maglie di bilancio. Vale a dire, una diversa destinazione dei fondi previsti per il sistema finanziario (quasi 11 miliardi) per finanziare misure sociali d'emergenza, il riscadenzamento dei pagamenti e condizioni ancor più di favore sui tassi di interesse sui prestiti. Anche se Atene gode già di uno sconto, visto che l'onere previsto per gli interessi sui prestiti è pari al 2% del Pil contro il 2,3% pagato dalla Germania e il 2,3% pagato dalla Francia.
Così ieri, quando l'Eurogruppo ha sottoposto alla Grecia una bozza di accordo che prevedeva un'estensione tecnica di 6 mesi dell'attuale programma per dar modo alle parti di negoziare una successiva intesa, il banco delle trattative è saltato dopo neppure quattro ore di colloqui. Condizioni «assurde e inaccettabili», è stata l'immediata reazione di un funzionario greco. Del resto, ben altri sono i progetti di Atene. Secondo alcune indiscrezioni, il governo guidato da Alexis Tsipras vorrebbe rottamare il 70% degli impegni sottoscritti dall'ex premier Antonis Samaras, a cominciare dalla riforma delle pensioni e dell'Iva, per poi cancellare le norme che hanno eliminato la contrattazione collettiva e introdotto regole più lasche in materia di licenziamenti. Inoltre, si pretenderebbe anche un taglio, dall'attuale 4,5 all'1,5%, degli obiettivi di avanzo primario.
Propositi che hanno già messo in allarme la Germania. Scettico ancor prima dell'inizio della riunione di ieri, il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, ha detto che «i greci hanno eletto un governo che al momento si sta comportando in maniera irresponsabile». E nella conferenza stampa successiva al vertice, il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha rimandato la palla nella metà campo ellenica: «Ora spetta ai greci decidere cosa fare, la via migliore è estendere il programma di aiuti. Aspetteremo fino a venerdì, non oltre». Mentre la numero uno del Fmi, Christine Lagarde, ha minacciato di bloccare le risorse del Fondo se il piano non verrà completato. In altre parole, siamo arrivati alla resa dei conti.
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È l'ammontare, in miliardi di euro, degli aiuti che l'Europa ha concesso ad Atene in cambio dell'austerity
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