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L'inflazione Usa infiamma le Borse

Rallenta la corsa dei prezzi a ottobre. Ora i mercati sono certi che la Fed allenterà i tassi

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Se l'inflazione non fosse un serpente a sonagli sempre in agguato, si potrebbe dire che la Fed è finalmente riuscita a mozzare la testa al rettile. Accolti ieri dal moto ascensionale degli indici azionari e dal contestuale crollo dei rendimenti dei T-bond, i dati di ottobre hanno mostrato che i prezzi al consumo Usa sono rimasti congelati su base mensile, dopo il +0,4% di settembre, e scesi su base annua dal 3,7% al 3,2%; mentre la parte core del paniere, quella depurata da energia e alimentari, è cresciuta mensilmente dello 0,2% e ha rallentato la corsa sui 12 mesi al 4% (dal 4,1% del mese prima) riportandosi sui livelli di un paio di anni fa.

Percentuali inimmaginabili fino a qualche settimana fa, quando il surriscaldamento delle quotazioni del petrolio veniva visto come un pericoloso focolaio di nuova infezione inflazionistica, che hanno convinto i trader che Jerome Powell, capo di Eccles Building, può ora rinfoderare la spada dei tassi. Le nuove previsioni non assegnano infatti nemmeno una chance a un ulteriore inasprimento della politica monetaria. Partita considerata chiusa, dopo 11 strette per complessivi 525 punti base, con un processo di rimozione collettiva del caveat di appena una settimana fa con cui proprio Powell non solo aveva riproposto il mantra del «tassi più alti, più a lungo», ma si era anche detto convinto di non aver ancora fatto abbastanza per riportare il carovita al 2%.

I mercati sono invece certi del «game over». Al punto che ieri Wall Street (+1,4% a un'ora dalla chiusura) ha dato lo sprone agli acquisti in Europa (+1,4% Milano, +1,3% lo Stoxx600) e affossato i tassi sul decennale americano al 4,45% (-4%). Nelle sale operative c'è un'atmosfera da rally di fine anno, corroborata dallo «score» dell'ultimo ventennio: con l'indice S&P 500 in rialzo del 5% o più a metà novembre, il resto dell'anno è stato sempre positivo.

Poche sembrano considerare il rischio di inciampare nella stessa topica dell'agosto dello scorso, quella causata dall'illogica euforia per il buon dato sull'inflazione di luglio, poi rivelatosi meno duraturo di una efèmera. Del resto, il processo deflazionistico ha già subìto negli Stati Uniti una battuta d'arresto tra luglio e settembre, e due guerre in corso dall'esito imprevedibile potrebbero riportare tensioni sul versante energetico. Facendo così venir meno il contributo fondamentale al raffreddamento dell'inflazione di ottobre offerto dai prezzi della benzina: un calo del 5% buono non solo per gli automobilisti, ma anche per Biden in chiave elettorale.

Riflessioni che lasciano il tempo che trovano, poiché il mondo finanziario sembra unicamente concentrato su quando la Fed allenterà la politica monetaria. Ubs prevede che Powell taglierà i tassi di ben 275 punti base nel 2024, quasi quattro volte rispetto al consenso del mercato, dal momento che l'America entrerà in recessione tecnica nella prima metà del '24 (-0,5%) per poi chiudere lanno con una crescita modesta (+0,3%).

Stime che fanno a pugni con le valutazioni di Goldman Sachs, secondo cui gli investitori sono eccessivamente preoccupati per l'indebolimento delle prospettive per gli utili societari a stelle e strisce.

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