Rodolfo Parietti
C'è un macigno a bloccare la strada che porta verso un rialzo dei tassi Usa: è il mercato del lavoro, debole come una bottiglia vuota per dirla alla Giovanni Trapattoni. Del resto, serve poco filosofeggiare sugli appena 38mila posti creati in un gelido mese di maggio, lo score peggiore dal settembre 2010, quando nelle gambe dell'America circolava ancora qualcuna delle tossine del virus subprime. I mercati, infatti, non hanno sprecato troppo tempo ieri in riflessioni: girate le spalle alle azioni (Milano ha perso l'1,53%, Wall Street ha recuerato in serata), sono subito corsi nella trincea dei Treasury e dell'oro mentre le chance di una stretta in giugno crollavano al 6% dal 21% precedente e quelle per luglio scivolavano dal 58 al 42%.
Un'autentica doccia gelata a una manciata di giorni dalla riunione di martedì e mercoledì della prossima settimana del Fomc, il braccio operativo di politica monetaria. Nonostante l'ottimismo sparso a piene mani sulla congiuntura e le aperture verso un inasprimento del costo del denaro a breve, Janet Yellen sarà costretta a rinviare il giro di vite dopo la pausa di agosto e, forse, addirittura a fine anno per non interferire con le elezioni presidenziali di novembre. Sempre che, assumendosene tutti i rischi, la presidente della Fed non voglia forzare la mano nel timore di perdere credibilità dopo il modo pasticciato, ondivago e scoordinato con cui i vari governatori hanno comunicato ai mercati l'orientamento della banca centrale. Ma sarebbe come scherzare col fuoco. Non è solo dal mese scorso che l'occupazione manda segnali di affanno: i posti creati in marzo e aprile sono stati rivisti al ribasso di quasi 60mila unità, e nell'ultimo trimestre la media mensile è scesa a quota 116mila. Troppo poco per un'economia che, nelle previsioni di Eccles Building, dovrebbe crescere quest'anno del 2,2%. Se il secondo trimestre replicherà l'andamento lento del primo (+0,8% il Pil), si ridurranno drasticamente gli spazi per centrare le previsioni della banca centrale.
Perfino la Casa Bianca, in genere abituata a vedere il bicchiere mezzo pieno, è stata costretta stavolta ad ammettere il «considerevole rallentamento» nella creazione di new jobs, pur ritenendo la brusca frenata legata in gran parte ad «effetti temporanei», in particolare allo sciopero dei lavoratori del settore delle tlc. In compenso, non viene fatto alcun cenno al calo del tasso di disoccupazione dal 5% al 4,7%. E un motivo c'è: la discesa non è un fatto positivo, ma riflette l'uscita dalla forza lavoro di 664mila americani, scomparsi dai radar delle rilevazioni statistiche. Un vero e proprio esodo di massa a segnalare un malessere con forti ramificazioni anche tra i 6,4 milioni (+468mila il mese scorso) costretti al part-time perchè non trovano un'occupazione a tempo pieno, oppure perchè colpiti da riduzioni di orario. Ai quali, poi, va sommato l'oltre mezzo milione di «scoraggiati», gente talmente sfiduciata che ha smesso di cercare un impiego.
Non potrebbe essere diversamente, se solo si considera che perfino il settore dei servizi ha registrato la più modesta espansione dall'ultima recessione, con l'indice Markit
Pmi sceso a 51,3 punti dai 52,8 di aprile. Uno scenario complessivamente critico che dovrebbe consigliare alla Fed di muoversi coi piedi di piombo. Anzi: a non muoversi affatto. Non si può sempre far finta di essere sani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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