Il record storico dei ricavi, la crescita dei dividendi e il raddoppio dell'utile spinto dal credito al consumo di Compass hanno tenuto per un po' occupati gli analisti durante la conferenza telefonica che si è tenuta ieri mattina sui conti del semestre. Ma i vertici di Mediobanca hanno dovuto poi virare sull'attualità. Ovvero sul dossier Generali che resta sotto i riflettori del mercato, nonostante l'acqua gettata sul fuoco da Intesa Sanpaolo, e che vede schierato in prima linea Piazzetta Cuccia come prima azionista del Leone con il 13 per cento. Nonchè come termometro delle relazioni lungo l'asse Francia-Italia che vengono monitorate anche per altre partite non solo bancarie.
Ieri, durante il confronto con gli analisti, l'ad Alberto Nagel, non si è sbilanciato su Generali. Anzi si è chiuso a riccio: «Noi rimaniamo coerenti con quanto deliberato, siamo impegnati nell'esecuzione del piano» che prevede la cessione «del 3% da qui al 2019 e conserveremo il restante 10%» della compagnia triestina che «è fonte importante di utili e dividendi per azione». Il resto «sono ipotesi o speculazioni: «Altro non ritengo opportuno aggiungere», ha detto, chiudendo ogni discussione.
In occasione della presentazione del piano il 17 novembre, l'ad aveva però lasciato aperta la porta a una possibile discesa anche sotto il 10% di Generali (che nel primo semestre 2016-17 ha dato un contributo di 135 milioni all'utile netto di Mediobanca pari a 418 milioni). Ieri l'opzione non è stata citata. E a chi gli ha chiesto a quale prezzo la banca è disposta a cedere i titoli Generali (che ieri hanno guadagnato lo 0,7% a 14,5 euro), Nagel ha solo ricordato che l'anno scorso era stato ceduto lo 0,2% della compagnia assicurativa: «Se volete avere un riferimento quella parte del nostro portafoglio è stata venduta a 17-18 euro per azione».
Il banchiere ha poi spiegato di non aspettarsi un disimpegno dei primi due grandi azionisti del patto di sindacato di Mediobanca, ovvero Unicredit (8,6%) e Vincent Bolloré (8%) - «Non ho assolutamente indicazioni in tal senso, anzi al contrario» -. E si è soffermato sulla contesa tra Vivendi e Mediaset, osservando «come uomo di investiment banking» che «le operazioni di concentrazione vanno fatte in maniera amichevole e concordata, perché la statistica dice che operazioni non concordate sono molto più costose e hanno un rischio di esecuzione molto più elevato».
Di certo, i prossimi mesi saranno decisivi per il futuro dell'istituto milanese. Mediobanca è controllata da un patto di sindacato che scadrà a fine anno e andrà al rinnovo automatico per altri due anni tra quanti non abbiano dato disdetta entro fine settembre, purché le quote sindacate restino oltre il 25% (in caso di offerta, comunque, il patto decade). A ottobre verrà inoltre rinnovato il cda e dunque il management.
Scadenze e rinnovi arrivano in un momento in cui gli schieramenti del vecchio «salotto» sono in una fase estremamente fluida con il socio Bolloré impegnato nella battaglia su Mediaset Premium contro l'altro socio Fininvest e con l'Unicredit alle prese con il maxi aumento di capitale da 13 miliardi destinato a cambiare radicalmente la geografia del suo azionariato. Mentre il timoniere Jean Pierre Mustier sta dimostrando un'autonomia mai vista prima nei rapporti con Piazzetta Cuccia.
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