Come incassare una montagna di dividendi, e vivere felici non solo senza pagare un centesimo di tasse, ma chiedendo anche il rimborso di imposte mai pagate. Quasi rozza come uno schema Ponzi, terribilmente redditizia nella sua rudimentale architettura, è la maxi-frode in appena tre mosse con cui le principali banche europee hanno dato per anni scacco matto al fisco. C'è voluto poco: solo l'elaborazione in chiave truffaldina di una vecchia pratica border line, ma comunque lecita.
Quantificare il danno subito dai contribuenti in un arco temperale che dal periodo immediatamente successivo al virus dei mutui subprime (ma c'è chi dice che i primi casi risalgono al 2002) si allunga fino ad almeno il 2013, non è facile: secondo la ricostruzione di Le Monde si tratta di oltre 55 miliardi di euro spalmati tra Francia (dove sarebbero coinvolte Bnp Paribas, Société Générale e una filiale del Crédit Agricole), Danimarca, Austria, Svizzera, Belgio, Spagna (Santander nel mirino) e Italia (4,5 miliardi sottratti al fisco) e soprattutto Germania. Per i media tedeschi sarebbe di almeno 31,8 miliardi il buco fiscale creato dal disinvolto modus operandi di istituti come Hvb (la filiale di Unicredit in Germania), che ha già ammesso di aver pagato una multa, e l'immancabile Deutsche Bank. Che in mezzo ai casini non manca mai, come dimostrano i miliardi di dollari versati in seguito ai magheggi combinati col Libor (il tasso di riferimento sui prestiti immobiliari), le perdite accusate giocando con i derivati, più le bocciature subite dalla Fed per le carenze di controlli interni nella dependance americana.
Ma come veniva orchestrata la truffa? Andiamo per gradi. Partendo dal cosiddetto Cum-Cum, una pratica di elusione fiscale chiamata anche «arbitrato sui dividendi». Funziona così, e ha bisogno di due attori: il primo (A) è il titolare delle azioni; l'altro (B) è un soggetto residente all'estero, in un Paese straniero dove i dividendi non sono tassati in base a una convenzione tra i due Stati coinvolti. Bene, poco prima del pagamento della cedola, A gira temporaneamente i titoli a B ed evita così di versare le imposte. Che in Italia sono pari al 26% della somma incassata sotto forma di cedola, il 25% in Germania, mentre in Francia oscillano tra il 15 e il 30%. Poi, i titoli - e il relativo ammontare del dividendo (e non parliamo di poche migliaia di euro o dollari, considerato il portafoglio titoli delle banche) - vengono di nuovo dirottati da B ad A. Incasso, e partita portata a casa.
Seppur questo meccanismo fosse una fonte di guadagno facile e senza rischi, molte banche non si sono accontentate. E hanno concepito Cum-Ex, la versione 2.0. Illegale. Questa è un po' più sofisticata - ma neanche tanto - della precedente e si prefigge anche lo scopo di sfruttare i rimborsi d'imposta. In pratica, è in genere un'operazione triangolare A-B-C. Dove A è ancora il titolare delle azioni (ma stavolta è un soggetto straniero), mentre C è colui che acquista i titoli da B, che non ne è ancora in possesso. È la classica vendita alla scoperto. Secondo il fisco tedesco, questo è il ruolo che avrebbe svolto più volte Santander con la controllata Abbey National Treasury Services. Per coprirsi, successivamente B compra le azioni da A, che riceve il dividendo tassato dallo Stato e quindi chiede il rimborso dell'imposta in quanto straniero. Richiesta che a sua volta avanza anche C, titolare dei titoli prima dello stacco del dividendo. Una pacchia.
È evidente come questa fitta rete di passaggi, moltiplicata per milioni di operazioni, fosse difficile da intercettare per il fisco.
Ora la nebbia si sta diradando. E non è da escludere che altre magagne vengano fuori. «Abbiamo creato una macchina del demonio», ha detto una fonte agli investigatori tedeschi. L'inferno è sempre lastricato di cattive intenzioni.
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