Piero Montani prova a rivoltare come un calzino la Popolare di Milano. L'obiettivo è farne una banca che, complice un colpo di scure al personale e a una struttura più snella, raggiunga nel 2015 profitti per 270 milioni (614 milioni il rosso dello scorso anno) e 1,76 miliardi di ricavi.
La nuova Bpm disegnata da Montani, arrivato in Piazza Meda su invito del presidente Andrea Bonomi sotto l'occhio attento di Bankitalia, avrà un'unica banca commerciale, facendo quindi sparire le strutture delle controllate Alessandria, Legnano, Mantova e Pro-Family. Accanto al «Bancone» (che preserverà tutti i marchi) sopravviveranno invece Banca Akros e Webank. Il piano industriale prevede poi, come anticipato, una cura d'urto sul personale, i cui costi dovranno calare del 10%: degli 8mila dipendenti del gruppo, 700 saranno accompagnati al prepensionamento come esuberi, altri 2.300 saranno invece ricollocati o formati. In sostanza, Montani alleggerisce gli uffici centrali e il back office - dove, durante il lungo potere dell'associazione Amici si era andata probabilmente stratificando qualche energia di troppo - per ridare impulso alle filiali e rivitalizzare le aree commerciali. Resta, però, da capire come procederà la trattativa con le forze sociali sugli incentivi all'esodo. Dei 700 esuberi previsti, soltanto 95 persone avrebbero infatti maturato la pensione e quindi uscirebbero in automatico: secondo alcune stime Montani dovrà stanziare 200 milioni circa.
Giù del 6% anche i costi operativi, così come è stata ufficializzata la ridiscussione del contratto integrativo che finora ha garantito al «Bpm people» anche una indennità per il caro Carbone (un ricordo del Ventennio) e la «Ria», che a novembre si traduce in una mensilità aggiuntiva. Saranno inoltre ridotte le spese amministrative del 12%, così da abbattere il cost income dal 77 al 56 per cento. Il Core Tier 1, il pricipale termometro patrimoniale delle banche, dovrebbe superare il 9 per cento.
Complessivamente, gli interventi consentiranno un risparmio di circa 65 milioni nel 2015, rispetto a fine 2011 e di oltre 130 milioni guardando alla crescita prevista a perimetro costante. Ulteriore segnale di rottura con il passato della cooperativa lombarda è la decisione di abbattere del 70% le strutture centrali, diminuendo i livelli gerarchici da cinque a tre. Allo stesso modo saranno eliminati un dirigente su quattro e l'80% del numero dei consiglieri delle controllate. Rispolverata poi la distinzione a livello di filiale tra «dipendenze hub» e agenzie minori («spoke»). Infine il consiglio di gestione di Bpm (-1% il titolo in Borsa a 30 centesimi) ha licenziato una proposta di conciliazione per rimediare alla figuraccia con la clientela fatta dalla precedente gestione con il discusso presitito convertendo.
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