L'aumento di capitale da 3 miliardi del Monte Paschi, in partenza lunedì 25 maggio, che pone ufficialmente in vendita la banca senese offrirà l'innesco al riassetto delle popolari voluto da Matteo Renzi con la trasformazione in spa: la legge è oggetto di un ricorso da parte della Lombardia di Roberto Maroni.
Le maglie del consolidamento si decideranno in autunno, quando se le trattative tra le coop rimarranno all'attuale stato «larvale», è molto probabile che la Bce di Mario Draghi e la Bankitalia di Ignazio Visco aumenteranno il pressing per ridare a Mps un padrone di casa. La candidata numero uno, a parte le prese di distanza dell'ad Victor Massiah e a meno della discesa in campo di un gruppo estero durante l'aumento, resta Ubi Banca: secondo alcune stime l'operazione si tradurrebbe però in 6.500 esuberi. Tanto che alcuni a Siena vorrebbero convincere il presidente Alessandro Profumo a rivedere l'idea di lasciare la Rocca subito dopo la ricapitalizzazione, così da svolgere un ruolo di garanzia durante l'aggregazione imposta dalla stessa Bce. Malgrado la pulizia di bilancio organizzata dall'ad Fabrizio Viola, resta poi da risolvere l'incognita da 4,7 miliardi con Nomura per il derivato Alexandria. La stessa ricapitalizzazione di Mps sarà peraltro diluitiva: il prezzo sarà fissato giovedì ma lo scorso agosto lo sconto sul «Terp» fu del 35,5%.
In alternativa Ubi, dove la trasformazione in spa sposterà l'asse di influenza a favore dei soci di capitale bresciani rispetto alla storica anima mutualistica bergamasca, potrebbe guardare al Banco Popolare di Pier Francesco Saviotti. Tutto questo anche in chiave difensiva rispetto ad eventuali appetiti stranieri: i timori portano ai francesi di Bnp-Paribas, già proprietari di Bnl.
Il secondo round del riassetto vedrà invece al centro Popolare Milano e Banco Popolare. Quest'ultima potrebbe diventare il perno di un big del credito del nord est, aggregando le problematiche Veneto Banca e Popolare Vicenza: entrambe oggetto delle attenzioni della Vigilanza e della Consob. Almeno questo è il desiderio della politica veronese (Lega in testa) e di alcuni poteri cittadini. Saviotti continua invece a lavorare sull'aggregazione con Bipiemme, che ha più volte definito un «sogno». Il piano di indubbia valenza industriale sarebbe pronto, nelle sue linee guida, da due anni: secondo gli analisti gli esuberi potrebbero essere 3.500. A rendere complesso l'incastro, malgrado la disponibilità di Saviotti a fare un passo indietro al termine del mandato e una volta impostata la fusione, sarebbe perà la tenacia degli scaligeri a tenere a Verona il cuore del gruppo, malgrado la centralità finanziaria di Milano: in gioco c'è la sede della direzione generale.
In alternativa Bpm tirerebbe fuori dal cassetto l'annessione di Bper, in questo caso frenata da problemi di governance: l'ad di Modena, Alessandro Vandelli non ha alcuna internzione di fare da spalla a Castagna che, dal momento che Bpm è oggi una delle mutue più solide, sarebbe di fatto «compratore». Il terzo round del riassetto vedrà invece coinvolte i gruppi di medie dimensione, a partire da Creval e Popolare di Sondrio.
Una cosa appare certa, se i banchieri delle coop e la politica contineranno la «melina» attuale, ci penserà al Vigilanza europea.Mps sta per lanciare un aumento di capitale da 3 miliardi. Lo sconto sul «Terp» arriverebbe al 35-40%
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