Municipalizzate a secco rendono meno dei Bot

Municipalizzate a secco rendono meno dei Bot

Oltre 12 miliardi di euro. Tanto varrebbe al Paese la privatizzazione delle 67 utility controllate e gestite dagli enti pubblici locali. Il calcolo arriva dallo studio firmato R&S Mediobanca che passa al setaccio il settore negli ultimi dieci anni. Un'analisi che ripropone con forza il tema del controllo pubblico, e dell'inadeguatezza di una gestione che - anche a causa della crisi - ha moltiplicato debiti, ridotto utili e rendimenti. Basti pensare che in Borsa le utility (in particolare 7 delle più importanti ex municipalizzate del Paese) hanno fatto peggio di Bot e Btp. Tra queste, solo Hera ha visto crescere il proprio valore in Borsa del 36% tra il 2003 e il 2012, mentre per le rivali il saldo è negativo, con A2A (-56,1%) fanalino di coda dietro a Iren (-56,1%), Acsm-Agam (-46%) e Acea (-7%).
Guardando al confronto con i titoli di Stato, nel 2009, il rendimento da azioni era del 2,9% contro il 3,6% dei buoni del Tesoro, che nel 2006 rendevano il 4,4% a fronte dell'1,9% delle azioni. Tra il 2010 e il 2012 le azioni delle utility hanno reso oltre il 4%, ma, a parte il 2012, i titoli di Stato hanno reso lo 0,5% in più. A conti fatti, dunque, le uniche due annate favorevoli per le utility sono state il 2008 ed il 2012. Nonostante questo, agli azionisti pubblici non è andata però così male dato che, oltre ai proventi derivanti dal collocamento, hanno accumulato nel corso degli anni 2,4 miliardi di dividendi, a fronte di esborsi per aumenti di capitali limitati a soli 120 milioni.
Non per altro le utility sono soprannominate, da tempo, «galline dalle uova d'oro» e i manager spesso lamentano l'ingerenza di Comuni, Province e Regioni. Per altro, lo sviluppo di cui queste società hanno bisogno, è stato fatto per lo più attraverso il debito. Dal 2006 a oggi le 67 utility locali italiane hanno registrato un netto peggioramento della struttura finanziaria con il rapporto tra debiti finanziari e mezzi propri che è passato dall'84% del 2006 al 130% di oggi (vedi tabella in pagina).
Quanto agli altri indicatori, un confronto favorevole esiste con l'industria in quanto i ricavi hanno segnato un +37,6% (contro il +11,2% dell'industria italiana) e gli utili complessivi i 3,33 miliardi grazie all'energia (+4,1 miliardi di profitti, di cui 1,13 miliardi di A2A e 701 di Acea) e alle autostrade (quasi 400 milioni). Va, però, molto male il trasporto pubblico locale che ha bruciato 3,2 miliardi (spicca 1 miliardo di passivo della romana Atac). A sorpresa, dal 2009 la redditività del settore energetico è stata sopravanzata dall'idrico.
A riprova del fatto che gli enti locali non sono i soggetti più adatti allo sviluppo del settore, non c'è solo il difficile sviluppo, ma anche il rapporto «avvitato» che intercorre tra queste società e lo Stato. Ammontano, infatti, a 7,4 miliardi i crediti che le utility controllate dai 115 maggiori enti locali italiani vantano nei confronti della Pubblica amministrazione. La fotografia, che risale alla fine del 2012, mette in luce che 3,1 miliardi fanno capo al trasporto pubblico locale, cifra che rappresenta il 61,6% dei crediti totali vantati da un settore già particolarmente sofferente.

A intricare il quadro, figurano però anche 5,86 miliardi di debiti che le utility locali dovrebbero rifondere a loro volta allo Stato, per lo più relativi a rapporti commerciali, al netto dei quali le partecipate resterebbero comunque creditrici per 1,6 miliardi. Un nodo che solo un profondo piano di privatizzazioni potrebbe sciogliere, liberando sinergie.

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