Stretta tra l'incudine crisi del debito-spread e il martello della recessione, Piazza Affari ha rischiato di replicare nel 2012 la pessima performance dell'anno prima, quando il listino aveva lasciato sul terreno oltre il 25%. È invece andata meglio, con il Ftse-Mib in rialzo dell'8% come testimoniano le cifre diffuse ieri (aggiornate al 21 dicembre scorso) da Borsa Italiana. Si poteva fare di più? Forse sì, ma certo poteva andare anche peggio se solo si considera il peso determinante sul listino di fattori internazionali, del tutto indipendenti dal lavoro del governo Monti.
Il 2012 è stato, non a caso, un anno dalle molteplici facce. Una prima tappa, da gennaio a marzo, scandita da un rally deciso; poi, da aprile e per buona parte dell'estate, un netto peggioramento provocato dai crescenti timori di un'uscita della Grecia dall'euro; infine, il costante risalire nell'ultimo quarto d'anno grazie, soprattutto, all'implementazione dello scudo anti-spread, all'intesa sulla Super-Bce e allo sblocco degli aiuti ad Atene, con il conseguente raffreddamento dei differenziali di rendimento tra i nostri Btp e il Bund tedesco. Pur giocati con colpevole ritardo da Eurolandia, questi tre assi hanno comunque consentito ai titoli bancari, i più penalizzati dalla crisi, di risalire la china e di recuperare negli ultimi sei mesi oltre il 35%. Annullando così le perdite di entità analoga accumulate fino al giro di boa di metà anno.
Insomma: senza il colpo di reni delle banche, il 2012 borsistico sarebbe stato ancora senza un lieto fine. Al di là della risalita degli indici, restano inoltre le criticità ormai congenite del mercato italiano. La capitalizzazione, per quanto cresciuta dai 330 miliardi del 2011 a quota 364,1 miliardi (una cifra pari al 22,5% del Pil), ne conferma le dimensioni lillipuziane. Da sola, Apple vale quanto tutta Piazza Affari. E non solo per colpa dei prezzi dei titoli quotati. Il problema, semmai, è lo scarso appealing, l'incapacità di attrarre nuove matricole in grado di controbilanciare gli addii.
Un fenomeno che, ininterrottamente, dura dal 2007. L'anno si è infatti chiuso con 323 società quotate (296 sull'Mta, il listino principale), cinque in meno rispetto al 2011 a causa di 13 società revocate, con due uscite eccellenti come Benetton, tornata nelle mani della famiglia veneta a marzo, ed Edison, passata sotto il controllo di Edf.
L'unica new entry nell'Mta è stata Brunello Cucinelli, peraltro premiata dagli investitori con un robusto +86,7% dal giorno del debutto che surclassa il +71% messo a segno dall'esordiente Ferragamo nel 2011.
In tutto, le Ipo sono state sei, per un controvalore di 1,2 miliardi, contro le nove dello scorso anno e le 10 del 2010.
Ci si può consolare coi titoli di Stato dove, grazie al successo del Btp Italia, il Mot ha segnato nuovi record di scambi, 6,3 milioni (+36,4% su 2011) pari a 320,2 miliardi di euro (+57,1% su 2011). Il 2013 è un altro anno, si vedrà.
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