Economia

Nell'Italia della moda un tesoro da 72 miliardi

Il peso del settore sul pil è all'1,2%, ma Francia regina d'Europa. Utili in salita del 25% dal 2014

Nell'Italia della moda un tesoro da 72 miliardi

La moda italiana è sempre più spesso di proprietà straniera. Settanta delle 173 maggiori aziende del fashion tricolore, prese in esame dallo studio di Mediobanca R&S, sono controllate da gruppi stranieri e, in particolare, dai colossi d'Oltralpe a cui fanno capo 28 società (comprese le 13 di Kering e 9 di Lvmh). Per il nostro Paese il sistema moda vale l'1,2% del Pil e rappresenta un business da 71,7 miliardi, dati in crescita rispetto al passato (in 12 mesi il giro d'affari è aumentato del 3,4% e in 5 anni del 22,5%), ma ancora lontani dalla grandeur francese. La sola Lvmh conta su un giro d'affari di 46,8 miliardi (rispetto ai 3,1 miliardi di Prada, la prima italiana in classifica al 14° posto generale), mentre i primi tre gruppi d'Oltralpe superano l'intero made in Italy. Sul fronte della redditività gli utili del fashion hanno toccato i 3,7 miliardi in aumento del 25,2% sul 2014. Lo studio evidenzia inoltre la solidità del capitale del sistema moda italiano, la forte liquidità e la valenza sul fronte occupazionale: gli ultimi bilanci esaminati, quelli del 2018, mostrano 45.300 nuovi addetti nei dodici mesi, per un totale di 366mila unità.

Quanto al futuro, secondo le stime di Prometeia, la moda italiana toccherà gli 80 miliardi entro il 2021 con un utile operativo (ebit) intorno all'8% del fatturato grazie al potenziale ancora parzialmente inespresso in Paesi come l'Australia, il Brasile, l'India, la Polonia, il Canada e il Messico dove il volume di export è inferiore alla popolarità dei brand e anche alla crescente visibilità e alla reputazione online.

Delle 173 imprese del fashion tricolore analizzate dallo studio di Mediobanca sono solo 15 le società quotate in Borsa ma da sole valgono il 29% del fatturato aggregato e vantano un utile operativo all'11,7% del giro d'affari rispetto al 6,8% registrato in media dalle non quotate. In luce soprattutto le quotate a controllo famigliare italiano che presentano un margine ebit al 13,4%, al contrario le società controllate dai fondi vantano un ebit margin è al 5 per cento. Più in generale le maison controllate da gruppi esteri hanno registrato nel quinquennio un aumento delle vendite del 42,9%, quattro volte tanto il ritmo delle imprese a controllo italiano che tuttavia hanno vinto in termini di redditività.

Spostando lo sguardo su un orizzonte europeo, lo studio ha preso in esame i primi 46 gruppi (di cui 14 italiani) con un fatturato complessivo 251,5 miliardi in aumento del 6,3% sull'esercizio precedente. I big tricolori hanno mostrato un ritmo di crescita inferiore rispetto alle rivali (+0,9% all'anno tra il 2014 e i 2018 contro un +8,2%), una minore redditività (l'utile operativo è pari al 9% del fatturato rispetto al 16,1% vantato dalle straniere), ma anche una maggiore liquidità e capitalizzazione.

Nel Vecchio Continente infine, tra il 2014 e il 2018 si sono distinte per crescita media annua delle vendite l'inglese Asos (+25,5%), la Moncler di Remo Ruffini (+19,6%), la francese Smcp (+18,9%) e la danese Pandora (+17,6%).

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