Programmazione. Termine tornato a circolare con insistenza dopo la sconfitta della nostra Nazionale di calcio con la Macedonia del Nord e conseguente mancata partecipazione al prossimo campionato del mondo in Qatar. Per appoggiarci a una fonte autorevole leggo sulla Treccani il significato della parola programmazione: «il complesso degli interventi dello stato nell'economia, realizzati sulla base di un piano pluriennale». Leggendo e ascoltando si sottolinea l'assenza di programmazione nel sistema calcio quale causa principale della débâcle. Trattasi di deficit strutturale.
Pecchiamo sui fondamentali. Registriamo scarsi investimenti nei settori giovanili. Soprattutto sui calciatori in erba italiani: solo il 30% gioca nelle squadre primavera. La mancanza di programmazione si spiega anche così. Abbiamo vissuto la bellissima emozione dell'Europeo vinto pensando che il successo fosse attribuibile a un percorso virtuoso. A un processo sistemico di quell'azienda. Solo pochi mesi dopo il brusco risveglio. L'italica azienda del pallone ha mostrato i limiti di un procedere privo di programmazione.
Non serve un cambio del management senza avviare un radicale ripensamento. Urge un piano di intervento che metta anche in conto la mancanza di risultati sul breve; ma che apra orizzonti profittevoli. Come ad un certo punto della sua storia ha avuto il coraggio di fare la Germania. Il problema della programmazione è questione spinosa che tocca il destino di qualsiasi azienda.
Le realtà imprenditoriali che funzionano, che sanno resistere anche alle intemperie oggettive, sono quelle che vivono le buone performance del presente investendo per il futuro. Oggi che siamo entrati in un'economia di guerra occorre coesione e grande capacità di azione strategica. Altrimenti si finisce eliminati. Come la Nazionale. In fuorigioco.
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