Non tutti i banchieri si tagliano lo stipendio

I tagli di stipendi sono all’ordine del gior­no per le banche. Praticamente scomparsi i bonus. E anche gli uffi­ci dei top banker sono sotto taglio

Non tutti i banchieri si tagliano lo stipendio

I tagli di stipendi sono all’ordine del gior­no per le banche. Praticamente scomparsi i bonus. E anche gli uffi­ci dei top banker sono sotto taglio. In un’importante banca milanese è arri­vata una comunicazione ai vertici: «Dovete scegliere se avere la piatta­forma Bloomberg o quella Reu­ters». Insomma, le licenze co­stano e anche su quello non si scherza. Il consiglio di sorve­glianza di Intesa Sanpaolo su impulso della Compagnia San Paolo e del presidente Giovanni Bazoli si è ridotto l’emolumento di un terzo. Il gettone di presenza resta a quota duemila euro per riu­nione. Su base annua il taglio genera un risparmio di 1,8 milio­ni di euro. Anche il presidente del consiglio di gestione, An­drea Beltratti, si è detto disponibile al taglio di un terzo. La new entry, il consigliere delegato Cucchiani, ha invece fatto sapere di non essere della parti­ta. D’altronde il suo stipendio netto in Inte­sa s­arebbe inferiore a quello che preceden­temente prendeva in Allianz. Siccome so­no i singoli consiglieri di gestione che devo­no autoridursi lo stipendio, è difficile crede­re che gli operativi di Intesa facciano come i loro cuginetti della sorveglianza.

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Non poteva andare meglio la settimana per Alberto Nagel, numero uno di Medio­banca. Le disposizioni previste dall’Anti­trust per l’eventuale fusione tra Unipol e Fonsai accontentano la banca di piazzetta Cuccia in più punti. Soprattutto su una que­stione squisitamente tecnica: e cioè il valo­re da attribuire ai prestiti subordinati che l’Istituto dal 2002 al 2008 ha erogato a Fon­sai. Il rischio che faceva tremare Medioban­ca era la conversione in azioni, a prezzi bas­sissimi. Oggi quei titoli rendono circa il 2,5%: troppo poco per il rischio che incor­porano. Tra i vari «rimedi»previsti dall’An­titrust c’è quello di considerare il valore di quelle obbligazioni al loro importo nomi­nale (più di 1,1 miliardi) e non a quello del mercato di oggi, presumibilmente molto più basso. Questa previsione, puramente regolatoria, ha degli effetti contabili per la banca di Nagel molto positivi. Non sono co­stretti a svalutare (come buon senso avreb­be imposto), non lo convertono in azioni e sono per di più confortati nella loro convin­zio­ne di giudicare i loro titoli ancora perfor­ming (cioè non in sofferenza). Questioni molto tecniche. Mettiamola più semplice­mente. Se Mediobanca avesse dovuto valu­tare i suoi prestiti a Fonsai secondo criteri diversi, incorporando il rischio di conver­sione in azioni, avrebbe chiuso il suo conto economico in profondo rosso. È cambiato il vento di Antitrust su Mediobanca?

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Lunedì il consiglio di amministrazione di Unicredit nominerà Alessandro Decio come suo rappresentante nel board di Me­diobanca. La cosa è ormai stabilita.Circo­la con ins­istenza però anche l’indiscrezio­ne che a Decio venga assegnato un incari­co manageriale decisamente più strategi­co per il gruppo e cioè la gestione dei rischi a livello corporate. Se così fosse, e non è detto che già lunedì ci sia la nomina, tra i due ruoli quest’ultimo sarebbe quello tec­nicamente più pesante. La gestione del ri­schio per una banca internazionalizzata e grande come Unicredit è materia com­plessa. Oggi è in mano a un manager olan­dese. Nel bilancino dei poteri di Piazza Cordusio, scende l’influenza di Fabrizio Palenzona. Che ha dovuto mollare l’inca­rico a-Piazzetta Cuccia per le norme stabili­te dal governo su impulso del sottosegreta­rio Antonio Catricalà. Decio, inoltre è un tecnico puro, molto stimato dal presiden­te Ghizzoni. PS.

Caltagirone al Corsera di ieri: «Palen­zona (neopresidente di Impregilo) appor­ta al management la conoscenza della fi­nanza, della banca e delle infrastrutture». Accipicchia. Il sempre schietto Caltagiro­ne non si è forse dimenticato qualcosa?

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