Camilla Conti
«Atlante sarà la soluzione», ha assicurato ieri il premier Matteo Renzi. Che non può però vantare la primogenitura del fondo per la garanzia delle ricapitalizzazioni e la cessione dei crediti deteriorati delle banche italiane, cui ha invece fatto da regista il dominus delle Fondazioni, Giuseppe Guzzetti. Al netto dei vanti renziani e in attesa che i documenti ufficiali e definitivi passino al vaglio dei cda dei soggetti finanziari che aderiranno al fondo (ieri è stato approvato da quello di Cdp), la musica sul mercato è completamente cambiata rispetto alla seduta in rosso di martedì. Il FtseMib ha guadagnato il 4,13% spinto proprio dai titolo bancari: Mps ha strappato un +11,77% seguita da Bper (+11,47%) e Unicredit (+10,60%); bene anche Intesa con un +8,31% e Bpm in rialzo del 7,92%. Agli acquisti ha contribuito la benedizione arrivata dal Fondo Monetario Internazionale: «È un altro passo nella giusta direzione per pulire i bilanci delle banche italiane e aiutarle a raccogliere capitali», ha detto Josè Vinals, il consigliere finanziario dell'Fmi che nel suo Global Financial Stability Report ha calcolato come le sofferenze del credito tricolore risultino pari all'11,2% degli impieghi totali.
Atlante preoccupa invece l'agenzia Fitch, che teme un cartellino rosso dalla Commissione Ue per aiuti di Stato e soprattutto che il fondo possa indebolire «il profilo finanziario delle grandi banche italiane». Tanto che «i rispettivi rating potrebbero finire ulteriormente sotto pressione». Intesa parteciperà «per un massimo del 20%», ha detto ieri l'ad, Carlo Messina, sottolineando che Atlante «ci permetterà di sottoscrivere tranches di sofferenze a valore di carico e non a un valore che non esiste. Il prezzo scontato dell'80% è imposto dai fondi di private equity, che sono strozzini che hanno fiutato l'affare e vogliono rendimenti del 20%», ha aggiunto il banchiere. Ad attrarre fondi pieni di liquidità come Apollo o Fortress è la massa di miliardi di npl acquistabili a prezzi di saldo (20%) nel momento di massima debolezza contrattuale delle banche e trasformabili nel giro di qualche anno e con un po' di leva finanziaria in notevoli profitti. Ora gli ispiratori di Atlante, oltre a rassicurare il mercato (e Francoforte) con un'operazione di sistema, puntano anche a strappare il «banchetto di sofferenze» alla voracità dei fondi stranieri. Certi che Renzi farà la sua parte: già lunedì il governo potrebbe infatti varare il decreto per abbattere i tempi di escussione delle garanzie date in pegno per i crediti non rimborsati. I cosiddetti collaterali, in gran parte immobili. Non a caso ieri lo stesso Messina è tornato sul problema, definendo «scandalosi i tempi per recuperare un credito in sofferenza. Sette anni è inaccettabile, bisogna scendere a tre».
Le garanzie ai prestiti non rimborsati, grazie alla nuova legge, potrebbero ora far incassare il doppio. Certo, l'altra parte della medaglia sono gli incagli. Ovvero le inadempienze «probabili» che se il cliente fallisce, si trasformano in sofferenze (a un ritmo del 30% l'anno, in Italia). Ovvero in crediti perduti. Il valore netto di bilancio a cui sono appostate i circa 200 miliardi lordi di sofferenze delle banche italiane sarebbe in media del 40%, quindi attorno agli 80 miliardi.
Quello degli incagli stimati vicino ai 160 miliardi potrebbe essere invece all'85% ovvero parliamo di 136 miliardi.Se, dunque, le sofferenze sembrano ben coperte, gli incagli rappresentano un'incognita tale da aggravare in futuro il peso sulle spalle di Atlante.
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