Palenzona boccia le nozze tra Intesa e Unicredit: «Progetto irrealizzabile»

Palenzona boccia le nozze tra Intesa e Unicredit: «Progetto irrealizzabile»

L'operazione di fusione tra Unicredit e Intesa Sanpaolo «è frutto di fantasie senza limiti, è totalmente irrealizzabile, fuori da ogni senso reale, industriale e finanziario». Così il portavoce di Fabrizio Palenzona, vice presidente di Piazza Cordusio, smentisce le ipotesi circolate in questi giorni, lanciate dal Corriere della Sera e poi attribuite a Palenzona da Repubblica, sul riassetto delle due più grandi banche italiane. In particolare, che la prospettata fusione tra Unicredit e Intesa sia un'idea di Fabrizio Palenzona «è destituito di ogni fondamento», è stato precisato dalle fonti del vice presidente. Per sgombrare il campo dal dubbio che un uomo chiave in molte e delicate partite ai vertici dell'istituto, e figura di riferimento della Fondazione Crt, azionista di Unicredit con il 3,85%, lavori dietro le quinte.
L'ipotesi di una fusione tra Unicredit e Intesa è stata lanciata con valenza difensiva da mire straniere. Un'operazione, per quanto suggestiva, sicuramente complessa (chi comprerebbe oggi per esempio tutti quegli sportelli italiani che inevitabilmente l'Antitrust obbligherebbe a cedere?) che può in effetti sembrare un'opzione al limite di ogni «senso reale». Ma ai piani alti della banche è probabile che i manager stiano esercitando le loro capacità creative per capire come trovare la quadra di un problema che è tutt'altro che fantasioso. E tutt'altro che momentaneo.
In cinque anni la crisi partita dai subprime ha ormai stracciato le capitalizzazioni delle banche, penalizzate dalla fuga degli investitori dal rischio sovrano (di cui sono pieni i bilanci degli istituti) e dalle prospettive di rallentamento dell'economia, che significa aumento delle sofferenze e difficoltà a fare utili e distribuire dividendi (su cui peraltro hanno già messo un'ipoteca, per quanto necessaria, i maggiori requisiti di patrimonializzazione di Basilea 3). Così oggi in Borsa Intesa e Unicredit sono scese a 20 miliardi. Meno del loro patrimonio netto tangibile. Per gli analisti di Mediobanca la somma delle parti di Piazza Cordusio, proiettata sui conti attesi per il 2013, vale oltre 32 miliardi.
Uno scenario che apre il fianco agli appetiti di potenziali investitori esteri, che potrebbero muoversi non appena il rischio Paese diminuirà. Non a caso Intesa ha sentito l'esigenza di anticipare il rinnovo delle cariche rispetto all'assemblea dei conti di aprile. E proprio in questi giorni il mercato è tornato anche a ipotizzare un riassetto in casa Unicredit che porti alla fine anche a una fusione con Mediobanca. Tanto più che le Fondazioni, lo zoccolo duro del fronte italiano degli azionisti di peso, non hanno più cartucce per difendere le banche da mani straniere. Già abbondantemente calate, per esempio, sulla banca guidata da Federico Ghizzoni che ha un'azionariato particolarmente frammentato: gli stranieri (tra cui il fondo Pamplona al 5% e la banca centrale libica al 4,6%) pesano già di più del 15% in mano alle Fondazioni.

Per quanto spesso benvenuti (come nell'ultimo aumento di capitale), una scalata su Unicredit porterebbe con se il problema di vedere minacciato il sistema Mediobanca e Generali (e a cascata le loro partecipazioni da Rcs a Telecom e Pirelli), cuore del potere e della finanza italiane.

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