Economia

Pensioni, ecco perché gli assegni del futuro sono a rischio

Per i consulenti del lavoro perse oltre 2 miliardi di ore lavorate. Impatto sulla previdenza sociale

Pensioni, ecco perché gli assegni del futuro sono a rischio

Oltre 2 miliardi di ore lavorate che andrà ad impattare negativamente sugli assegni delle pensioni future degli italiani. È l'allarme lanciato dai consulenti del lavoro nel documento "Verso la riforma previdenziale" con cui gli esperti hanno incrociato i dati sull'occupazione, quelli demografici e del mercato del lavoro evidenziando un rischio sulla stabilità del sistema pensionistico per i lavoratori che dovranno andare in pensione nei prossimi decenni.

"Sebbene tra il 2008 e 2018 l'occupazione sia aumentata di 125.000 unità, con una variazione positiva dello 0,5%, nello stesso periodo si sono perse oltre 2 miliardi di ore lavorate che, calcolate per ciascun occupato, portano il volume annuo medio in capo ad ogni lavoratore dalle 1.806 ore del 2008 alle 1.722 del 2018 (-4,6%)", e questa "decrescita generalizzata è destinata ad impattare sugli importi degli assegni pensionistici futuri degli italiani, sempre più calcolati su quanti contributi previdenziali realmente versati".

Particolarmente allarmante risulta il divario tra tendenze nazionali e internazionali per quanto attiene il lavoro giovanile dove l'Italia presenta un livello di occupazione dimezzato rispetto a quello dei giovani europei, dove la media di occupati sul totale della popolazione giovanile è del 35,3%. A pesare poi è la strutturale presenza di lavoro irregolare che sottrae annualmente alla platea dei contribuenti il 15,5% dei lavoratori (dato al 2017). Un danno duplice: per il sistema, che potrebbe migliorare performance in termini di sostenibilità, e per gli stessi lavoratori, il cui futuro risulta più a rischio di quello del sistema previdenziale. Nel corso del decennio preso in esame, la stagnazione economica che ha caratterizzato l'Italia, dove il Pil non è ancora riuscito a recuperare i livelli precrisi, ha condizionato anche la dinamica della produttività e della disponibilità di reddito.

Un rischiò più che concreto, dunque, quello fatto emergere dai consulenti, che andrà analizzato e risolto in modo concreto e con riforme strutturali, considerando che "deve fare i conti con il calo demografico destinato, anche questo, ad impattare sugli equilibri pensionistici di medio periodo. Secondo l'Ocse, infatti, entro il 2050 in Italia il numero dei pensionati potrebbe superare quello dei lavoratori".

L'orizzonte temporale è quello che arriva al 2036, quando il sistema pensionistico passerà interamente al contributivo. Per quella data "È quanto mai necessario, soprattutto fra le nuove generazioni, sensibilizzare i lavoratori italiani ad una adeguata gestione del Tfr e, più in generale, all'investimento in previdenza complementare per garantirsi un reddito adeguato nella vecchiaia", ribadisce la presidente del Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro, Marina Calderone.

"Si tratta - continua - di una sfida in più per un sistema che dovrà nei prossimi anni necessariamente attivare tutta quella rete di infrastrutture e di servizi - banche dati, formazione, accompagnamento al lavoro, consulenza - necessaria a supportare l'occupabilità dei lavoratori lungo tutto l'arco della vita attiva e a coprire, con apposita e nuova strumentazione, i rischi derivanti dalle interruzioni dei percorsi lavorativi che saranno, presumibilmente, molto più frequenti e diffusi".

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