Il petrolio riprende fiato ma gli hedge fund scappano

I fondi speculativi si arrendono: un rialzo del greggio improbabile. Molti dubbi sul rinnovo dei tagli Opec

Il petrolio riprende fiato ma gli hedge fund scappano

Alla fine della seduta i prezzi del petrolio sono risaliti ieri a 46,32 dollari, ma l'avvio della giornata era stato da alba tragica: quando in Italia erano circa le 5,30, il barile si era avvitato fino a 43,76 dollari. Una perdita secca di quasi due dollari, in poco più di un quarto d'ora, da sommare alla batosta rimediata giovedì sera (-4,8%). Il crollo mattutino, per proporzioni assimilabile alla categoria dei flash crash, viene imputato dagli analisti alle vendite automatiche scattate in seguito alla rottura di alcune soglie tecniche. Le successive ricoperture hanno poi permesso ai prezzi di recuperare, ma quel che più conta è capire cosa stia succedendo dietro le quinte del mercato petrolifero. In una settimana, il greggio ha infatti perso circa il 7% del proprio valore ed è tornato sui valori dello scorso novembre. Di fatto, sono stati vanificati gli sforzi di contenimento della produzione compiuti dall'Opec a partire dall'inizio dell'anno.

Per cercare di sbrogliare la matassa è proprio dal Cartello che si deve partire. A dispetto dei molti dubbi circolati nei mesi scorsi, l'impegno a togliere dal mercato 1,2 milioni di barili al giorno da gennaio è stato nella sostanza rispettato. Quasi incredibile, per un'organizzazione storicamente anarchica e poco incline a mettere in pratica politiche di austerity. Il problema è che quell'accordo scade a fine giugno. Il prossimo 25 maggio, infatti, è già previsto un vertice dei Signori del petrolio per discutere di un allungamento di sei mesi dei tagli all'output. Gli analisti non sono però del tutto convinti del buon esito del summit. Temono il riaffiorare delle profonde divisioni - soprattutto tra Arabia Saudita e Iran - che avevano per mesi ostacolato il raggiungimento di un accordo. Inoltre, va considerata la posizione degli altri Paesi produttori esterni all'Opec, a cominciare dalla Russia, che nel novembre scorso avevano concorso con un taglio di 600mila barili alla riduzione dell'offerta di greggio. Come si comporteranno questa volta? Ogni opzione è sul tavolo, senza alcuna certezza. In mancanza di un patto collettivo, gli esperti di JPMorgan e Citigroup prevedono che il barile possa crollare sotto i 40 dollari, cosa che non succede da oltre un anno. Spiegano da JP Morgan: il fatto che siano coinvolti numerosi Paesi «è il tallone d'Achille dell'intesa», che «è tutt'altro che scontata».

Non sono i soli, peraltro, a sospettare che qualcosa possa andare storto. Ancora più pessimisti sono quegli hedge fund - soprattutto un big come l'Andurand Commodities Master Fund - che la scorsa settimana hanno liquidato le posizioni long sul petrolio. Tra il 21 febbraio e il 28 marzo, le posizioni lunghe nette sono calate del 28,6% (oltre 159 mila contratti). In pratica, hanno alzato bandiera bianca, dando ormai per persa la scommessa su un rialzo dei prezzi.

Le scorte commerciali statunitensi di greggio, aumentate in 11 delle prime 12 settimane del 2017, non depongono del resto a favore di un aumento delle quotazioni. Semmai, alimentano le preoccupazioni sul fatto che l'offerta Usa, attraverso uno shale oil di nuovo competitivo, finirà per compensare le eventuali frenate alla produzione da parte dell'Opec.

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