Peugeot dalla Grandeur alla Grande muraglia La Cina tra gli azionisti

Nulla sarà più come prima in casa Psa Peugeot Citroën: l'ingresso nel capitale di due Stati, quello francese e, in pratica, anche quello cinese attraverso il gruppo Dongfeng, mette fine al controllo che la famiglia Peugeot esercitava da oltre due secoli. In un battibaleno, dunque, si è passati dalla Grandeur alla Grande Muraglia. Duramente colpito dalla crisi, il primo gruppo automobilistico d'Oltralpe ha approvato l'accordo che prevede l'ingresso nel capitale dell'Eliseo e dei cinesi: entrambi conferiranno 800 milioni di euro ciascuno in cambio di una partecipazione del 14%, mentre la famiglia Peugeot vedrà la sua partecipazione attualmente al 25,4% scendere allo stesso livello dei due nuovi partner. Inizialmente divisa (fortemente contrario a questa soluzione Thierry, presidente del consiglio di sorveglianza, che aveva inviato una dura lettera al cugino Robert, a capo della finanziaria Ffp), la famiglia Peugeot si è alla fine rassegnata a perdere il controllo di Psa. Ma anche il doppio diritto di voto che le assicurava il 38,1% dei suffragi. A corto di liquidità da due anni, il gruppo cercava disperatamente un partner industriale. E ora auspica di rilanciarsi partendo alla conquista dell'Asia.
L'accordo raggiunto e approvato dal board di Psa prevede un aumento di capitale, nell'ambito di un'operazione da 3 miliardi. L'operazione è stata commentanta ieri da Le Parisien alla pari di una «Rivoluzione culturale in casa Psa». Il quotidiano ha anche evidenziato come quanto avvenuto sia da considerare la «più importante mutazione culturale nella storia dell'azienda».
Oggi si avranno maggiori particolari, ma tutto fa presupporre che il «ribelle» Thierry Peugeot mantenga la presidenza del consiglio di sorveglianza, allo scopo di garantire una sorta di continuità con la storia del marchio, mentre la direzione operativa del gruppo, come previsto, passerà nelle mani dell'ex capo di Renault, l'austero e allo stesso tempo autoritario (così lo dipinge La Tribune) Carlos Tavares, il quale prenderà il posto di Philippe Varin, rimasto in carica per gestire il difficile passaggio di consegne.
Lo Stato francese, dunque, entra ufficialmente nel capitale di Psa, pareggiando così i conti con il costruttore concorrente, Renault, nel quale è presente con il 15,01%. E questo mentre la famiglia Agnelli, con il decisivo apporto di Sergio Marchionne, ha concluso l'acquisizione di Chrysler e restituito anzitempo alla Casa Bianca i finanziamenti ricevuti allo scopo di rilanciare la società americana ormai fallita. Resta da chiedersi quale reazione ci sarebbe stata in Italia se il Lingotto si fosse piegato, nei momenti più difficili della sua crisi, all'opzione della statalizzazione.
Marchionne, soprattutto nella veste di presidente di turno dell'Acea, l'organizzazione europea dei produttori di autoveicoli, aveva più volte stigmatizzato - bollandoli come concorrenza sleale - gli interventi pubblici nel settore. «Sono cose - affermò al termine di una riunione Acea - che alterano pesantemente il piano del gioco», con l'Unione europea che sull'argomento sembra far finta di niente.
Intanto, il ministro francese alle Attività produttive, Arnaud Montebourg, ha descritto la rivoluzione in casa Psa «una decisione di patriottismo economico e industriale», per poi aggiungere, con buona pace di Marchionne, che «è lo Stato che ha garantito la resistenza di Psa in un periodo di calo del mercato europeo» dell'auto.

Prima di aprire il capitale ai due nuovi azionisti, Psa aveva già adottato tutta una serie di misure per ridurre i costi e migliorare la redditività dei suoi impianti. La misura più emblematica è stata la chiusura della fabbrica di Aulnay-sous-Bois, alle porte di Parigi, ma anche il taglio di oltre 11.200 posti di lavoro in Francia. Ma ora c'è lo Stato nel capitale.

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