Piazza Affari agli stranieri? Non è un rischio, è già realtà

Un'Italia in svendita per effetto della crisi? Quello che i commentatori, soprattutto «politici», paventano a ogni pié sospinto come un rischio è già realtà. Lo dimostra la recente tornata di assemblee di bilancio nelle quali i fondi di investimento stranieri hanno rappresentato, nel loro complesso, il primo azionista di molte società. Il caso più eclatante è stato quello di Eni: le Sgr di diritto estero hanno «coagulato» il 30,98% del capitale a fronte del 30,1% detenuto da Tesoro e Cdp.
Chi teme il verificarsi di nuovi casi Parmalat o chi osserva alzando il sopracciglio il passaggio in mano francese di mano di Richard Ginori e Pomellato o l'ingresso del fondo sovrano del Qatar nel complesso immobiliare di Porta Nuova a Milano ignora che la globalizzazione è già oltre. Giusto a titolo di esempio, bisogna ricordare che il gruppo guidato da Paolo Scaroni (nella foto) non costituisce un caso isolato. All'ultima assise di Intesa i fondi esteri si sono presentati con il 26% del capitale, una quota superiore a quella delle Fondazioni messe insieme. In Generali gli «stranieri» hanno raggruppato il 12,2%, tallonando il 13,2% di Mediobanca. All'interno del libro soci di Telecom e di Finmeccanica gli istituzionali esteri sono presenti con più del 40 per cento. Da più di un anno all'interno di Unicredit il nucleo stabile italiano (Fondazioni più soci industriali) è sopravanzato dai fondi come Aabar, BlackRock, Pamplona, Libia e Capital Research (15% contro 24%). Settori strategici come l'energia, la difesa e la finanza oltre alle reti di telecomunicazione hanno già un socio forte che non parla la nostra lingua. Ma il fatto che, tranne qualche schermaglia sulle nomine, non abbia preso posizione non vuol dire che possa diventare un protagonista di eventuali cambiamenti. Basti pensare al passaggio di controllo di Impregilo: senza il sostegno di Amber, Salini avrebbe difficilmente potuto prevalere su Gavio.
Una situazione analoga potrebbe verificarsi se un azionista estero riuscisse ad assicurarsi una maggioranza assembleare «poggiandosi» sulle Sgr straniere. La nuova golden share, però, lascia al governo pieni poteri solo sul settore difesa. «Interventi» in altri campi devono essere motivati pena una procedura di infrazione da parte di Bruxelles: il caso Telecom «3» sarà il prototipo di applicazione delle nuove regole.
A breve, tuttavia, non dovrebbero esserci particolari stravolgimenti. «Non presenteremo nelle assemblee liste di maggioranza, pur potendo in alcuni casi contare sul 50% più uno dei voti», assicura Marco Vicinanza, coordinatore ad interim del Comitato dei Gestori, l'organismo indipendente che riunisce le Sgr italiane ed estere in funzione di designare almeno un consigliere di minoranza nelle società quotate.

Tutto ciò, aggiunge, «non significa che i fondi assisteranno passivamente a eventuali deviazioni rispetto ai migliori standard di gestione delle società, ma si faranno ascoltare». Poi, «se un singolo ente intende partecipare a un'acquisizione, si tratta di decisioni individuali. Certo, se un cambio di proprietà è interesse delle minoranze, tutto si può valutare».

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