Ecco come cambierà la Borsa

Il delisting di molti big non apre al tramonto di Piazza Affari. Il futuro sono le Pmi

Ecco come cambierà la Borsa

In Italia il mercato ha meno voglia di Borsa visto la crescita dei delisting tra le maggiori società? Questo quanto sembrerebbe emergere dai trend di mercato degli ultimi mesi che ha visto diversi gruppi abbandonare Piazza Affari lasciando indietro prospettive e capitali.

47 miliardi di euro di capitalizzazione sono, da inizio anno, evaporati da Piazza Affari proprio a causa dei delisting. La Borsa ha perso dall'inizio dell'anno in totale il 20% della sua capitalizzazione a partire da una quota di risorse immagazzinate nei suoi mercati che a fine 2021 era arrivato a toccare 757 miliardi di euro. I delisting trainano le scelte dei protagonisti della borsa.

C'è chi ad esso aderisce per consolidare il controllo sulla propria azienda, come ha fatto la famiglia Friedkin per la AS Roma Calcio, uscita ufficialmente da Piazza Affari il 25 luglio scorso.

Ma anche chi procede al delisting con fini più strategici: Alessandro Benetton con Atlantia guida il più importante delisting della storia d'Italia per mettere la holding di famiglia, alleggerita del carico di Autostrade per l'Italia, in condizione di operare lontano da emotività e scossoni di mercato. Discorso simile Diego Della Valle con Tod's, con l'ex patron della Fiorentina che ha lanciato un’Opa sul 25,5% del capitale sociale della società apre la via a un futuro da società privata puntando alle azioni non attualmente controllate né dal fondatore né da Bernard Arnauld, patron di Lvmh.

C'è anche chi invece opta per il delisting per fini fiscali, guardando ai vantaggiosi lidi di Amsterdam: ha iniziato Ferrero, ha proseguito Campari e ora ha consolidato il trend Exor, holding della famiglia Agnelli.

Insomma, per molti grandi nomi il delisting è un'opzione importante e l'uscita dalla Borsa italiana ritenuta un male sopportabile. Ma non è detto che questo sia un danno per l'economia nazionale. Come ha scritto Milano Finanza, "è importante avere mercati finanziari efficienti. Promuovere la finanza di mercato è un obiettivo strutturale avvertito da tempo, non solo in Italia ma in tutta l'Europa: porre rimedio al cronico sottodimensionamento dei mercati azionari europei rispetto, ad esempio, agli Stati Uniti è fondamentale per accrescere la resilienza dei mercati, raggiungendo una migliore condivisione dei rischi e una diversificazione delle fonti di finanziamento per le aziende". Tutto verissimo, ma per quanto riguarda il sistema-Paese Italia la sensazione pare orami essere quella di una finanza a cui i grandi gruppi guardano, sul fronte istituzionale della Borsa, con attenzione non totalizzante. La tenuta e la resilienza delle banche stanno tornando a fare di queste, in un sistema che sul loro operato si era sempre basato, il pivot per trasmettere liquidità e fondi alle imprese.

Le aziende mature, poi, escono dalla borsa perché in Italia i livelli inferiori di capitalizzazione fanno sì che per le aziende del Paese la quotazione sia un momento più importante del mantenimento stesso del titolo sui listini. Il successo del private equity come strumento di apertura ai mercati è una storia tutta italiana che ha nell'ingresso in Borsa delle aziende in aumento dimensionale il traguardo e non uno step. Dal 2012 ad oggi il capitale italiano nel private equity è salito da 3 a 17 miliardi, l'ammontare investito è passato, infatti, da 1,3 miliardi nel 2012 a 11,1 miliardi nel 2021, mentre il numero delle operazioni è cresciuto passando da 20 a 165 permettendo la crescita di imprese in ogni settore (da Moncler a Bending Spoons). L'arrivo in borsa "cristallizza" questo stato gassoso fatto di aspettative e iniezioni di capitale dando alla crescita di un'azienda una veste formale ed è l'altra faccia del delisting, che invece consente al gruppo in uscita dalla Borsa di avere un'istantanea del valore effettivo delle quote. La Borsa-passerella di Milano, in cui dominano gli attori a partecipazione pubblica, serve in fin dei conti a questo e non ci si deve strappare le vesti per il delisting dei big. Il futuro sta nel rilancio dei canali di ingresso dei capitali delle Pmi per fare di Borsa Italiana il collettore del dinamismo della crescita delle piccole e medie imprese, che possono aprirsi al mercato dei capitali per affrontare le sfide competitive dell'era globale. Nessuna corsa "ruggente" è però da attendersi sulla scia dei rally che spesso coinvolgono le borse di Usa e Regno Unito. E anche questo non è detto sia un male.

L'attività di Borsa Italiana, passerella per le imprese italiane, perlomeno garantisce contro bolle e destabilizzazioni. Ed è a misura dell'economia di un Paese a vocazione artigianale più che finanziaria, bisognoso di promuovere le sue eccellenze.

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