A forza di vedere quel segno più che ostinatamente accompagnava Piazza Affari, solitamente afasica in fatto di rialzi, qualcuno si era forse immaginato un crescendo ad libitum, con le quotazioni pronte a passare dal pianissimo della recessione al fortissimo della ripresa. E invece, no. Tutto passa, anche la luna di miele d'agosto, quella dei grafici puntati verso l'alto. La prima battuta d'arresto è arrivata ieri con un secco -2,46%, che ha prosciugato quasi completamente i guadagni della scorsa settimana (+2,8%), mentre gli altri listini chiudevano con ribassi frazionali.
L'ingranaggio rialzista si è insomma inceppato, complice il risalire dello spread a quota 238 punti con la complicità - dice qualcuno - di un governo Letta traballante. Oppure si tratta di una correzione fisiologica, indotta dalle prese di profitto? Un fatto è certo: le vendite si sono canalizzate sui bancari, come testimonia il -4,3% settoriale. Ovvero, su quei titoli che più avevano beneficiato dello sgonfiarsi dei differenziali di rendimento tra i Btp e il Bund tedesco. Un fenomeno - è opportuno ricordarlo - che si traduce in una valorizzazione dei circa 300 miliardi di euro di bond tricolori che i nostri istituti di credito tengono in pancia. Intendiamoci: il ceffone d'inizio settimana ha solo minimamente intaccato il tesoretto di guadagni. Nell'ultimo mese, le banche sono cresciute del 12% e di poco meno del 30% da inizio anno.
I realizzi, insomma, prima o poi dovevano arrivare. E, almeno finora, hanno fatto male solo ai compratori dell'ultima ora. Ma ciò che più conta è capire adesso come potrà evolvere la situazione. Certo una crisi di governo rischierebbe di essere letale per la Borsa: allontanerebbe vieppiù la ripresa e non farebbe altro che far risalire la febbre da spread. Poi, vanno considerati quei fattori esogeni che determinano il comportamento degli investitori istituzionali stranieri, coloro che nell'ultimo periodo hanno spostato risorse sulle piazze periferiche europee alla ricerca di guadagni. È probabile che i grandi player stiano rivedendo le linee strategiche, in attesa di capire le mosse della Federal Reserve. Domani l'istituto guidato da Ben Bernanke diffonderà le minute dell'ultima riunione, dalla cui lettura i mercati sperano di trovare indicazioni temporali sul tapering, cioè sulla graduale rimozione degli stimoli economici. È però probabile che la Fed tenga coperte le carte fino al board di metà settembre.
Un altro fronte da non sottovalutare è quello aperto tra Bce e Bundesbank. Nel suo Bollettino mensile, la Buba ha ieri di fatto gelato Mario Draghi, che con la forward guidance ha voluto indicare che i tassi resteranno bassi per «un periodo prolungato in futuro». Al contrario, ha ricordato la banca centrale tedesca, il costo del denaro potrebbe subire una stretta se l'inflazione dovesse salire. In Germania, i prezzi sono pericolosamente vicini al 2%.
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