Piazza Affari, tutto come prima: le banche affondano il listino

Piazza Affari, tutto come prima: le banche affondano il listino

Seconda sberla consecutiva, questa volta più forte della prima. Tanto da far dubitare che la luna di miele col rialzo sia ormai finita. Piazza Affari ha perso ieri il 2,4%, il ribasso più robusto dell'intero Vecchio continente. Anche se il movimento all'ingiù è stato generalizzato, la maggiore fragilità della Borsa di Milano è frutto, ancora una volta, del peso notevole dei titoli bancari sul listino. Ebbene, l'indice Ftse del settore ha lasciato sul campo il 4,35%, e peggio si sono comportate due big come Intesa Sanpaolo e Unicredit che hanno chiuso, rispettivamente, con flessioni del 5,8% e del 4,5%. Nuovi cocci sparsi a terra dal settore che più di tutti ha pagato (e pare stia ancora pagando) un conto salatissimo alla crisi del debito sovrano. È vero che nell'ultimo mese le azioni delle banche avevano recuperato quasi il 13%; ma è altrettanto vero che la perdita, negli ultimi sei mesi, è ancora pari a un inquietante 17,5%.
In linea teorica, ci sarebbe quindi spazio per un ulteriore colpo di reni. Che però, almeno dall'inizio della settimana, non si è visto. Perché? La spiegazione più elementare è questa: proprio il rally dell'ultimo mese ha innescato numerose prese di profitto. Molti investitori hanno insomma preferito passare all'incasso, vendendo i titoli senza prendere altri rischi. «Vendi, guadagna e pentiti» è un vecchio detto borsistico che tutti conoscono ma di cui nessuno, in fondo, tiene conto. C'è però forse anche altro. Come diceva Agatha Christie, due indizi costituiscono solo una coincidenza e non ancora una prova. Ma, curiosamente, il movimento al ribasso è iniziato lunedì scorso, cioè dal giorno in cui il divieto sulle vendite allo scoperto di titoli bancari e assicurativi è stato rimosso dalla Consob. Tolto il paletto imposto dalla Commissione, non è da escludere qualche trama speculativa all'opera.
Del resto, qualche mano forte può in questo momento sfruttare il venir meno dell'effetto-annuncio creato, in sequenza temporale, dalla volontà manifestata dalla Bce di Mario Draghi di intervenire in soccorso dei bond dei Paesi in difficoltà; dal via libera al fondo salva-Stati da parte della Corte costituzionale tedesca; e dal terzo quantitative easing deciso dalla Federal Reserve guidata da Ben Bernanke per stimolare l'economia. Ancora lontana appare peraltro l'adozione di misure come l'attribuzione all'Eurotower dei poteri di vigilanza sulle banche dell'euro zona, nonchè la concessione all'Esm della licenza bancaria, necessaria per poter ricapitalizzare direttamente gli istituti di credito. Su entrambe, infatti, pesa il nein della Germania.
Con una certa logica, i mercati stanno quindi puntando i fari sui due principali fronti aperti: Grecia e Spagna. Un grosso punto interrogativo riguarda il verdetto della troika Ue-Bce-Fmi, atteso a fine settembre, sui progressi compiuti da Atene sulla strada del risanamento. Il premier Antonis Samaras ha chiesto una tregua di due anni. In caso contrario, la Grecia rischia di non farcela: prima che la recessione finisca (nel 2014, secondo le previsioni) il Pil greco avrà subìto un crollo del 25%.
Quanto alla Spagna, resta in bilico sulla possibilità di chiedere aiuti agli altri Paesi europei, passo necessario per ottenere il supporto di Draghi. Madrid, però, continua a traccheggiare. «Stiamo analizzando fino a che punto la Bce intenda esporsi», ha spiegato la vicepremier, Soraya Saenz. Un procedere con i piedi di piombo, giustificato anche dall'aut-aut del presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker: se chiede aiuto, la Spagna sarà sottoposta a «condizioni durissime». Il tempo però stringe. Anche perchè l'ammontare dei prestiti in sofferenza sfiora i 170 miliardi. Le banche rischiano così di ritrovarsi con altri immobili al posto dei prestiti erogati, mentre hanno i bilanci già pieni di abitazioni invendibili.

Per fortuna, la Spagna è riuscita ieri a collocare 4,5 miliardi di titoli annuali con tassi in calo (al 2,84% dal 3,07% precedente). Ma la situazione sui decennali è ancora da allarme: i rendimenti sono risaliti sopra il 6% e lo spread con i Bund a quota 425. Soffre di meno l'Italia: il Btp-Bund è rimasto inchiodato a 341 punti.

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