Su un'Italia a crescita zero pende come una spada di Damocle «il caos dei cicli produttivi». Questo, in estrema sintesi, il potenziale impatto di tipo recessivo che potrebbe scatenarsi sulla nostra economia e quella europea a causa del coronavirus. La «diagnosi» arriva dall'economista Mario Deaglio (nella foto), che ieri a Milano ha presentato il XXIV rapporto sull'economia globale e l'Italia promosso dal Centro studi Einaudi e Ubi Banca. Lo studio dal titolo «Il tempo delle incertezze» mette in luce come nessuno dei Paesi avanzati, «sia stabilmente ritornato alla velocità di crociera precedente alla crisi di dieci anni fa». In questo quadro, l'Italia è però la pecora nera tanto da essere tornata, alla fine del 2019, in prossimità di «crescita zero», ovvero all'ultimo posto «della lista delle economie sviluppate». Insomma, in Italia si verifica quello che è definito il «tilt del Pil». Una situazione economica alla quale il coronavirus potrebbe dare la spallata definitiva. Un alto rischio recessione che potrebbe passare dal turismo: i cinesi sono al quarto posto per afflusso nel nostro Paese.
Tra gli altri settori a rischio Deaglio individua anche il commercio (lusso e alimentare): «Ci sono decine di milioni di cinesi che non escono da casa e tra le altre cose non comprano merci italiane. Se questa situazione dura più di qualche settimana inciderà sicuramente sul fatturato del settore». Si rischia poi «un caos in diversi siti produttivi» in quanto «l'Italia produce macchine agricole per il mercato cinese e importa semilavorati tecnici dalla Cina».
Non per altro ieri, anche Ubs ha sottolineato come l'epidemia di Coronavirus non possa essere confrontata nelle sue caratteristiche con la Sars: «All'epoca il consumatore cinese rappresentava meno del 10% delle vendite del settore rispetto al 33% attuale», avvertono gli esperti individuando tra le società italiane della moda più esposte Ubi, Moncler, Ferragamo e Prada.
Tornando allo studio, il coronavirus è solo uno dei fattori di incertezza che pesano sull'economia, come indica il titolo del rapporto: «Quest'anno è stato visibile come siano venuti a saltare i meccanismi che per noi erano i punti fissi, cioè la posizione degli Stati Uniti aperti al commercio, l'Europa molto vicina agli Usa, la Cina che cresceva in maniera ordinata», chiarisce Deaglio.
Tanti i motivi di questo clima di incertezze globale tra cui l'economista mette al primo posto «il cambiamento del modo attuale di produrre, cioè l'uso di tecniche informatiche che scardinano l'ordine che durava da centinaia di anni. Tutto questo è posto in discussione», sottolinea il professore ricordando un fattore chiave che differenzia incertezza e rischio. «La differenza è che il rischio si può calcolare, ma l'incertezza no».
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