Quanto costa ai piccoli azionisti delle due grandi popolari venete la mala gestio del passato e la necessaria trasformazione da coop a spa? Partiamo dai 117mila soci della Popolare vicentina un tempo feudo di Gianni Zonin e oggi guidata dall'ad Francesco Iorio: il cda ha fissato a 6,3 euro per azione il valore del prezzo di recesso per i soci che nell'assemblea del prossimo 5 marzo non voteranno a favore della trasformazione in spa. Chi vorrà uscire dal capitale, quindi, otterrà quasi il 90% in meno dei 62,5 euro, punto di partenza degli ultimi aumenti di capitale fatti digerire agli azionisti nel 2013 e nel 2014. E quasi l'87% in meno dei 48 euro fissati con una già pesante svalutazione del 20% nell'assemblea di primavera 2015. In altri termini, se nell'aprile 2015 la Vicenza capitalizzava più di 5 miliardi oggi vale intorno ai 650 milioni. E se partiamo dai 62,5 euro precedenti, ora Bpvi vale un decimo di quanto si riteneva valesse a inizio 2015. Morale: per la Vicenza il conto è già arrivato a più di 4 miliardi. Un salasso che lascia anche presagire anche quello che sarà il valore del titolo in occasione della quotazione in Borsa attesa entro aprile, accompagnata da un ennesimo aumento di capitale. Il cda ha deciso di limitare il diritto di opzione relativo alla ricapitalizzazione, riservando solo fino al 45% agli attuali azionisti, almeno il 50% agli investitori istituzionali e il 5% al retail. Non solo.
L'istituto ha anche aggiunto una tranche di 250 milioni all'aumento che sale così a 1,75 miliardi. Serviranno in parte a stabilizzare il titolo dopo l'iniezione di liquidità e in parte come incentivo per la fidelizzazione dei vecchi soci. Dalla relazione illustrativa del cda all'assemblea del 5 marzo emerge anche che se, fosse stato strutturato in altro modo l'aumento di capitale non sarebbe stato garantito: «lo stesso impegno di sottoscrizione rilasciato da Unicredit a garanzia dell'integrale sottoscrizione dell'aumento di capitale fino a 1,5 miliardi dà per presupposta, e quindi vale solo entro i limiti di, una struttura siffatta», si legge nel documento.Una sorte simile era toccata nella vicina Montebelluna ai circa 88mila soci di Veneto Banca che prima ha ridotto il valore delle sue azioni da 39,5 a 30,5 euro (-22,8%) per poi fissare un prezzo di recesso a 7,3 euro ad azione (portando così la svalutazione finale al 76%). Recesso esercitato poi solo da 219 soci. «Conferma la fiducia nel nostro istituto», aveva sottolineato lo scorso 22 gennaio il presidente Pierluigi Bolla.
In realtà l'esito pareva già scontato: perché trasformare in perdite reali quelle che finora sono solo teoriche?, si sono detti i piccoli soci di Montebelluna (e lo stesso di diranno quelli della Vicenza) che non avevano alternative percorribili. Se i piccoli soci piangono, anche i garanti degli aumenti non ridono: Unicredit per la Vicenza e Imi (gruppo Intesa) che si è impegnata ad acquistare le azioni inoptate di Veneto Banca fino a 1 miliardo (l'accordo scade il 30 giugno). In campo, intanto, scende la politica. E in particolare il sindaco di Verona, Flavio Tosi, che con il movimento Fare! ha deciso di appoggiare il premier Matteo Renzi. Secondo Tosi, la Fondazione Cariverona potrà «agevolare» il futuro percorso di avvicinamento tra l'istituto che nascerà dalla fusione tra Bpm e Banco Popolare e le altre due grandi popolari venete, perchè «ha risorse fresche disponibili».
L'ente scaligero non avrebbe al momento come priorità un rafforzamento nell'azionariato nel Banco: «A livello di mettere risorse vedo più probabile che faccia un'operazione nelle due venete in difficoltà, dove tra l'altro c'è maggior necessità», spiega Tosi. Il cui vero obiettivo è appunto quello di fare rotta in un secondo momento anche su Veneto Banca, sfilandola al centro di potere che ruota attorno al governatore Luca Zaia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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