Economia

Un popolo che non sa investire: più della metà conosce solo i Btp

Italiani, quanti problemi con la finanza. Solo il 6% diversifica

Un popolo che non sa investire: più della metà conosce solo i Btp

Roma - Italiani ignoranti in materia di risparmio e di investimenti. Se la circostanza era più o meno desumibile dalle disavventure occorse ai tanti malcapitati nei vari crac più o meno recenti, da ieri ci sono anche i numeri a testimoniare l'elevato livello di impreparazione in materia economica dei nostri concittadini che, proprio in virtù della loro insipienza, rischiano di continuare a cadere nelle trappole dei Madoff di turno.
L'indagine realizzata su un campione di 2.500 famiglie da Gfk Eurisko per conto della Consob, l'Authority della Borsa, ha infatti evidenziato che più del 20% degli intervistati dichiara di non avere familiarità con alcuno strumento finanziario. Inoltre la stragrande maggioranza non comprende il concetto di tassi di interesse negativi.

Molto bassa anche la conoscenza dei servizi di investimento con l'80% degli intervistati che ha affermato di non avere nessuna idea di quali siano le offerte del mercato.

La percentuale è sconfortante se si guarda ai servizi di robo-advisory, cioè la consulenza effettuata sulla base di algoritmi che elaborano proposte di investimento orientate alla preferenze del risparmiatore. L'87% degli intervistati non ne ha mai sentito parlare e il 66% non vi ricorrerebbe perché timoroso di restare vittima di truffe online.

D'altronde, solo poco più del 40% degli intervistati è stato in grado di definire correttamente alcune nozioni di base, quali inflazione e rapporto fra rischio e rendimento. Insomma, la grande maggioranza del campione conosce solo i Btp, le obbligazioni bancarie (diventate tristemente famose causa bail in), già meno della metà ha contezza di cosa sia un'azione quotata.

La ridotta alfabetizzazione finanziaria incide sensibilmente sulla comprensione dell'andamento dei mercati e di nuovi fenomeni congiunturali. Basti pensare che solo il 6% comprende il concetto di «diversificazione del portafoglio» (non concentrare il proprio investimento su un unico prodotto o su un'unica asset class), mentre la maggioranza vede le perdite in conto capitale come una sciagura da evitare. Insomma, siamo il Paese dei «praticoni» della finanza nel quale il 38% decide di investire dopo essersi consultato con un parente o un conoscente e solo poco più di un quarto degli investitori si avvale di un servizio di consulenza professionale, foss'anche quello dell'intermediario finanziario cui si rivolge. Se si ascolta un consulente in qualche modo poi ci si fida: dalle interviste emerge infatti come due terzi degli investitori che fruiscono della consulenza decidono alla fine di applicare i consigli ricevuti.

Ecco perché dal 2007 ad oggi oltre la metà del portafoglio investimenti degli italiani si compone di depositi bancari e postali (dal 38 al 52%), mentre diminuisce la quota di ricchezza detenuta in azioni e titoli di Stato, mentre le obbligazioni bancarie italiane erano il prodotto più diffuso a fine 2015. Non è un caso, quindi, che la ricchezza delle famiglie italiane negli ultimi anni sia rimasta sostanzialmente invariata mentre in Europa è cresciuta.

Un po' è colpa delle tasse un po' dell'analfabetismo finanziario.

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