Quella Borsa «nana» che costa all’Italia l’1,5% del Pil

Quella Borsa «nana» che costa all’Italia l’1,5% del Pil

L’aumento a quota mille del numero di società quotate a piazza Affari comporterebbe un aumento del Pil reale tra lo 0,9 e l’1,5%, la creazione di 137 mila nuovi posti di lavoro e un aumento del gettito fiscale di 2,6 miliardi. È quanto evidenzia una ricerca svolta dall’Università Bocconi in collaborazione con la Borsa italiana, presentata ieri.
Lo studio mostra che le 291 imprese domestiche presenti sul listino italiano a inizio 2010 (a fine 2011 le quotate sul «Mta» erano 304) rappresentavano meno della metà delle quotate in Germania, un terzo di quelle in Francia e poco più di un decimo di quelle in Gran Bretagna. Sempre a inizio 2010 le quotate italiane producevano il 21% del fatturato nazionale e impiegavano il 7% degli occupati, per un contributo diretto delle imprese quotate alla formazione del Pil 2009 pari all’8%. Lo studio Borsa-Bocconi spiega che, se alle 294 società presenti sul listino a fine 2010 si aggiungessero le 706 «migliori» società quotabili in italia, la capitalizzazione del mercato aumenterebbe del 34%, comportando un aumento del Pil reale per l’anno seguente dello 0,9 per cento. Considerando il numero di società quotate in alternativa alla capitalizzazione, l’impatto stimato sul Pil reale sarebbe ancora più rilevante e pari all’1,5 per cento.
Sul fronte dell’occupazione, evidenzia la ricerca, l’incremento del 34% della capitalizzazione porterebbe a una riduzione del 6,9% del tasso di disoccupazione, la creazione l’anno successivo di 137mila nuovi posti di lavoro e una crescita del gettito fiscale allo 0,82%, stimabile in un aumento degli introiti per lo Stato italiano pari a 2,85 miliardi.
Le imprese più piccole in italia rappresentano il 77,5% del totale, mentre in Borsa sono pari solo al 16,4% del numero complessivo delle quotate, con una sotto-rappresentazione quindi del 61,1%. Al contrario, le imprese di maggiori dimensioni rappresentano il 4,5% del totale, ma la metà delle quotate, con una sovra-rappresentazione del 45 per cento. La ricerca illustra che tale gap è presente anche negli altri Paesi, ma è meno rilevante rispetto al caso italiano (circa -40%).


Per quanto riguarda i settori, le imprese meno rappresentate in Borsa rispetto all’economia reale appartengono all’area commercio, alimentare e trasporti, quelli più rappresentati finanza, elettrico e petrolifero-minerario. Nel made in Italy sono poco rappresentati alimentare e tessile.

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